Gente d'Italia

Dai “picapedreros” italiani al sogno del “Best Tourism Villages”: è la storia di Conchillas, turismo e identità… 

di Matteo Forciniti 

Impresa britannica, mano d’opera (anche) italiana. È stato questo lo schema sociale creatosi nei secoli scorsi in tanti angoli dell’Uruguay che hanno lasciato tracce indelebili visibili ancora oggi. Il caso più famoso di questa particolare dicotomia probabilmente è quello di Peñarol, il quartiere di Montevideo dove 130 anni fa nacque la famosa squadra di calcio. 

Tanti altri sono però gli esempi come quello di Conchillas, un pittoresco borgo del Dipartimento di Colonia il cui nome significa letteralmente conchiglie, come quelle che invadono la sua spiaggia. Insieme alle località di Aiguá (Maldonado) e San Javier (Río Negro), questo borgo rappresenterà l’Uruguay al “Best Tourism Villages” indetto dall’Organizzazione Mondiale del Turismo delle Nazioni Unite (UNWTO). Questo concorso, alla sua prima edizione, ha lo scopo di individuare e incentivare programmi di sviluppo sostenibile in quelle località rurali che cercano di fomentare il turismo per salvaguardare le piccole comunità. Identità storica e attività tradizionali sono due tra le caratteristiche richieste nei requisiti per partecipare che combaciano perfettamente con questa località.

Situata a metà strada tra Carmelo e Colonia, la storia di Conchillas è strettamente legata alla costruzione del Puerto Madero di Buenos Aires e in particolare allo sfruttamento delle risorse minerarie. La compagnia inglese Walker si era aggiudicata i lavori per la costruzione del nuovo porto argentino e nei suoi studi preparatori scoprì che sull’altra sponda del Río de la Plata c’era una zona con grandi quantità di pietra e sabbia da poter utilizzare. Dopo l’acquisizione di 500 ettari di terreno la fondazione del centro abitato avvenne il 24 ottobre del 1887: con gli inglesi il paesaggio cambiò radicalmente trasformandosi in breve tempo in una zona operaia e multiculturale con “picapedreros” di diverse nazionalità tra cui italiani, greci, bulgari, tedeschi e turchi.

“La presenza italiana in tutta questa zona è stata fortissima tanto tra i lavoratori come tra gli imprenditori che esportavano la pietra in Argentina” assicura lo storico Sebastián Rivero. “L’insediamento di Conchillas si inserisce all’interno di un processo più ampio che coinvolse tutto il dipartimento di Colonia nello sfruttamento delle risorse minerarie che va dal 1870 fino agli anni cinquanta del novecento”. Furono diverse le località uruguaiane interessate da questa industria tra cui Carmelo, Riachuelo, Juan Lacaze, Rosario e Colonia del Sacramento. 

Quello di Conchillas rappresentava un caso abbastanza particolare per l’epoca: “In poco tempo si era trasformata in una cittadina, basta pensare che nel 1913 nelle sue cave lavoravano circa mille operai. Ma oltre all’industria principale che era quella della pietra e della sabbia si esportava anche tutto ciò che offriva il territorio come cereali, pelle e lana. C’era un sistema molto avanzato per quei tempi per quanto riguarda la sanità e l’educazione e poi esisteva anche una moneta propria”.

A causa delle politiche protezioniste del governo argentino peronista a partire dagli anni cinquanta tutte le località uruguaiane interessate da questo fenomeno entrarono in una fase di declino che iniziava a manifestarsi già dagli anni trenta. Conchillas si svuotò e si mantenne come un piccolo borgo venendo dichiarato monumento storico nazionale nel 1976 e diventando in seguito una destinazione turistica nel tentativo di valorizzare la sua ricchezza patrimoniale. Uno dei posti più visitati dai turisti è il suo cimitero, simbolo della memoria di un passato fertile che custodisce anche qualche piccola traccia di Italia. “Su quasi 200 tombe presenti circa il 5% sono italiani anche se i numeri potrebbero essere molto più alti” sostiene Rivero. “Di alcuni non si conoscono le origini mentre quasi la metà del totale sono uruguaiani e tra questi sicuramente tanti potevano avere la doppia nazionalità”.

Un secolo dopo l’abbandono degli inglesi la storia qui sembra ripetersi e oggi la multinazionale Montes del Plata (frutto dell’unione tra un gruppo cileno e un altro svedese-finlandese) gestisce un grande impianto per la fabbricazione di cellulosa che viene poi venduta al mondo.

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