di Franco Esposito
Firmarono in quarantaquattro, saranno risarciti. Prima condanna in Italia all’intermediario di Uber, una delle società che fornisce i rider. I fattorini in moto o in bici che effettuano consegne a domicilio. Soprattutto nel campo della ristorazione. Mai successo prima, in Italia. Un imprenditore condannato per caporalato sui rider. Sequestrato mezzo milione di euro, servirà a risarcire i quarantaquattro che hanno denunciato. Giuseppe Molini, uno dei responsabili della società che forniva i rider, conservava il denaro in cassette bancarie.
Il manager aveva provato a fare sparire il denaro, due giorni dopo aver ricevuto la visita degli ispettori della Guardia di Finanza, a febbraio 2020. Ma gli investigatori lo avevamo bloccato in tempo. I contanti chiusi nei borsoni erano stati sequestrati nella sua auto. Mezzo milione di euro a beneficio dei quarantaquattro rider che si erano costituiti parte civile nel processo contro Giuseppe Moltini.
La sentenza favorevole ai rider rappresenta un fatto indubbiamente storico. La prima condanna pronunciata da un tribunale italiano. L’ha firmata il giudice Teresa De Pascale, che ha condannato Moltini a tre anni e otto mesi in rito abbreviato. Il magistrato ha inoltre disposto una provvisionale di 20mila euro in favore della Cgil e di 10 milioni a testa ai fattorini.
Rex, originario della Nigeria, ventisette anni, sa già come usare quei soldi. Ha grandi progetti, al pari di diversi altri colleghi rider. È da sei anni a Torino, una città che ama, e dove vorrebbe crescere i suoi figli. È il portavoce del gruppo di denuncianti vittoriosi in tribunale. “Sogno di iscrivermi all’università. Vorrei diventare giornalista o un attivista per i diritti umani”. Rex è stato uno dei premi a denunciare le “condizioni di schiavitù cui era costretto”. In poche parole: “Ci pagavano a cottimo, rubavano le mance dei clienti, ci buttavano fuori dall’applicazione a loro piacimento”.
Esempi reiterati di vero caporalato. Che dire, poi, del contratto? “Era falso”. Falso o finto, cambia poco, cambia niente. Alcuni rider, amici di Rex, ci hanno rimesso il permesso di soggiorno, lo hanno perso per colpa del datore di lavoro infedele e bugiardo. Un maestro del raggiro. Rex ha denunciato tutto, evitando accuratamente qualsiasi forma di litigio o protesta con i capi. Ha creduto nella giustizia e punto. “Felice di questa condanna, che dimostra cosa? Nessuno è al di sopra della legge. E a chi oggi è nelle condizioni in cui ero io, dico solo questo: aggrappati ai tuoi sogni e non permettere a nessuno di rovinarli”.
Vessazioni e misere paghe ai rider hanno costituito, nel tempo, motivo di discussioni e polemiche. Hanno fatto scandalo, e in un certo continuano a essere uno scandalo, in molti casi.
La sentenza pronunciata dal giudice Teresa De Pascale impone la condanna di altri due imputati, per reati finanziari. Leonard Moltini, il figlio del padre, e Danilo Donati, responsabili delle aziende di intermediazione di mano d’opera, Flash Road City e Frc, hanno già patteggiato la pena. Moltini jr condannato a tre anni; a due Donati. Domani comincia il processo a Gloria Bresciani, manager attualmente sospesa da Uber, accusata di aver sfruttato i fattorini.
Terminate di indagini, a marzo, il pm Storari e il Nucleo di polizia economica della sezione misure di prevenzione de Tribunale presieduta da Fabio Rosa, avevano revocato il commissariamento della filiale italiana della multinazionale. Riconosciuto il percorso “virtuoso” intrapreso da Uber dopo le indagini del pm e del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza.
L’inchiesta, per la prima volta, ha posto al centro dell’attenzione “le condizioni di lavoro dei rider”, reclutati soprattutto tra le file dei richiedenti asilo. Persone disperate disposte a lavorare per tre euro e settantacinque lordi a consegna. Indipendentemente dalla strada da percorrere, dalle condizioni atmosferiche, dalla pioggia o dalla neve, e dai giorni di festa.
I rider soggetti al pagamento di assurde penali. Una per tutte, ottanta euro in caso di perdita della borsa di lavoro. E poi? E poi mai lamentarsi. Chi si azzardava ad elevare la minima protesta veniva sbattuto fuori dalla piattaforma. Condizioni da caporalato autentico, mascherato dalla notorietà e dal credito che il marchio aveva conseguito nel tempo. Solo all’esterno, però. Una cosa di facciata e punto. Un continuo attentato a sopportabilità e pazienza.
“I lavoratori hanno visto finalmente riconosciuto il loro diritto a non essere trattati come schiavi”, soddisfatta per sé e per i rider vincitori in tribunale l’avvocato Giulia Druetta, del pool di legali che assistono i fattorini. “Impiegati senza limiti umani da capi senza scrupoli”. Il food delivery è una giungla di sfruttamento.
Resta comunque ancora fare molto. Le condizioni di lavoro purtroppo non sono cambiate. Nonostante la prima storica pronuncia favorevole ai rider.