Quella appena iniziata è una settimana decisiva per le "sorti" di Mario Draghi. Oggi, infatti, c'è l'incontro con i sindacati e poi, giovedì prossimo, il Consiglio dei ministri sulla delicata manovra. Quasi shakespeariano il dilemma che, da giorni, assilla l'ex "numero uno" della Bce: restare alla guida del governo oppure farsi da parte. La pazienza del premier, assicura il sito Dagospia, è giunta realmente ai minimi storici.
Non manca giorno, infatti, senza che si materializzi un problema o un rospo da ingoiare. A partire dal centrodestra, con i continui rimbrotti di Salvini fino ai 5Stelle, con Conte che pretende il rispetto dei patti. Tutta colpa di una coalizione eterogenea, tenuta insieme dallo stato di necessità dettato dalla pandemia, con almeno quattro partiti completamente diversi tra loro - Carroccio, Pd, Forza Italia e 5Stelle - seduti fianco al fianco al governo ed un solo partito all'opposizione, Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni, il quale però ha più di un punto in comune con la Lega salviniana, che però sta con la maggioranza. Insomma: un autentico rompicapo, con tutti dentro appassionatamente, pronti a batter cassa .
Un situazione resa ancora più incandescente dalle inefficienze del sottosegretario Roberto Garofoli, l'uomo scelto da Draghi per a gestire il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e che però, nel suo agire, sta accusando preoccupanti inefficienze e non pochi ritardi per cui il premier starebbe "scaldando" il suo consigliere giuridico Marco D’Alberti. Una mossa dettata dal timore del mancato raggiungimento degli obiettivi del piano concordato con l'Ue. Una circostanza, ricorda sempre Dagospia, che potrebbe anche comportare la mancata erogazione delle prossime rate del Recovery, dopo i primi 25 miliardi già corrisposti all'Italia come anticipo.
Draghi è anche scosso dal flop dei tre ministri tecnici (Colao, Cingolani e Giovannini) e dal naufragio della trattativa per il salvataggio del Monte dei Paschi. Grane grosse come una casa, insomma, seminate sul cammino del “superbanchiere” il quale valuta seriamente il da farsi. Il premier potrebbe anche decidere di mollare la presa, lasciando la guida di palazzo Chigi e candidandosi, perché no, per il Quirinale. Un passo che spalancherebbe il campo alle elezioni anticipate.
Stefano Ghionni