Ci sono le lasagne della signora Anna, moglie dello storico autista di Bettini e i cavoletti di Bruxelles nel menù di giornata di Giuseppe Conte, a fortissimo rischio di indigestione. Le chat dei parlamentari 5 stelle sono sommerse dal video del capo politico del Movimento 5 stelle accorso a festeggiare il compleanno dello stratega romano del Partito democratico, e gli umori sono tutt’altro che sereni. Il senatore Vincenzo Presutto esce allo scoperto, e attacca il patto della lasagna, nel quale si sarebbero delineate strategie vista Quirinale con un pezzo di nomenklatura Dem: “Ritengo preoccupante ed inaccettabile che decisioni di tale importanza e riguardanti il futuro dell’Italia vengano prese al di fuori delle sedi istituzionali”. Eufemismi che si esasperano a microfoni spenti. Un collega di Presutto risponde furibondo al telefono: “Ma ti pare che quello (sic.) va là e Bettini gli fa il pistolotto sull’amicizia che viene prima della politica e lui sorride e annuisce. Ma amicizia di che? Noi cosa dovremmo pensare?”.
Una leadership sotto attacco. Raccontano di un Conte furioso per l’improvvisa accelerazione sull’ingresso degli europarlamentari nel gruppo dei Socialisti e Democratici (ecco i cavoletti). Una proposta lanciata da Luigi Di Maio, e che pian piano ha scavato carsica per riaffiorare a galla oggi. “Queste cose le decido io”, il senso del ragionamento che Conte ha fatto ai suoi, che ha preso la questione come un affronto personale alla sua leadership. Dino Giarrusso, che della pattuglia degli europarlamentari è esponente di spicco, si augura che il deal vada in porto: “Entrare in un grande gruppo ci sarà utile perché ci permetterà di incidere maggiormente. Questo non significa azzerarsi, ma al contrario conservare le nostre battaglie e i nostri valori all’interno di un gruppo nel quale avranno ancora più peso”.
Dopo tutto è la direzione politica verso la quale ha sempre spinto il capo politico, che però oggi frena. Surreale la lettura delle agenzie di stampa. In rapida successione il capo delegazione del Pd a Bruxelles Brando Benifei dice che “Proseguono le discussioni sull’adesione”. Passa qualche minuto e fonti M5s tuonano: “Il confronto non è ancora iniziato”. Conte ha un problema, che si chiama Fabio Massimo Castaldo. L’adesione ai Socialisti metterebbe a rischio la sua riconferma alla vicepresidenza dell’Europarlamento nella girandola dei rinnovi delle nomine che avverrà all’inizio dell’anno prossimo. Ma soprattutto la carta dell’adesione doveva rimanere in tasca fino al momento nel quale il leader pentastellato avesse deciso di metterla sul piatto nell’ambito della complicata trattativa che sta portando avanti per un ingresso organico nel centrosinistra.
Così la bomba rischia di scoppiargli tra le mani: da un lato chi spinge per uscire dall’isolamento europeo, da quel gruppo dei non iscritti che per le regole di Strasburgo ha meno soldi, meno spazio di intervento, meno possibilità di incidere. Dall’altro un piccolo ma robusto drappello di parlamentari che non ha alcuna intenzione di morire socialista. Così quando Vittorio Ferraresi si è alzato in aula alla Camera e ha tirato bordate contro l’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti, destinatario di una sentita lettera di scuse di Di Maio qualche mese fa dopo la feroce campagna che i pentastellati gli dedicarono, è più d’uno a leggere l’intervento come i primi effetti di una mossa non concordata con nessuno contro la quale si minaccia battaglia
È il caos. Dice un pentastellato di lungo corso: “Lo dico da osservatore più che da parte in causa. Sulla Rai stiamo per perdere l’unica nostra nomina, quella del Tg1, sui capigruppo abbiamo un leader sconfessato, sulla collocazione europea ci perdiamo in battaglie interne: il nuovo corso è partito malissimo”. L’intervista di venerdì di Michele Gubitosa, uno dei cinque vicepresidenti, nel quale spiegava senza mezzi termini che “il dissenso non sarà tollerato” è stata un boomerang. “Che vuole fare Michele, i rastrellamenti per le case o per i banchi della Camera?” Si chiede sarcastico un suo collega. Da Montecitorio arriva fortissima la pressione per un chiarimento. Conte capisce l’antifona: domani si presenterà davanti all’assemblea congiunta per un punto politico della situazione, su cosa dirà nessuno ha contezza, a metà pomeriggio anche il capogruppo alla Camera Davide Crippa non ne conosceva l’oggetto.
A Bruxelles comunque vada la situazione di Castaldo è appesa a un filo. Difficile che venga rieletto in caso di un passaggio al gruppo dei Socialisti, ma sono esigue le chance anche rimanendo tra i non iscritti. Due anni e mezzo fa fu sorprendente la sua elezione, favorita da un mix fortunato determinato da voti incassati in quanto M5s fu partito determinante per l’elezione di Ursula von Der Leyen alla Commissione (maggioranza Ursula, remember?) e i 34 eurodeputati di Farage erano senza un proprio candidato. Ukip non c’è più, i 5 stelle non sono così determinati. “Ma Castaldo ha un filo diretto con Paola Taverna, ed è per questo che si incastra tutto sul suo nome”, spiega una fonte pentastellata.
Al Senato poco è piaciuto l’attivismo della vicepresidente sulla vicenda capogruppo, che insieme al collega Mario Turco non solo si è spesa per la conferma di Ettore Licheri, ma, raccontano, è stata sentita rimproverare ad alta voce colleghi che erano sospettati di non averlo votato dopo il clamoroso pareggio che ha spianato la strada a Maria Domenica Castellone, l’avversaria alla fine incoronata da Conte per uscire dall’angolo. E a nessuno è sfuggito che i due grandi elettori di Licheri sono stati anche i vice del capo politico, e a maggior ragione le spiegazioni del dopo sconfitta, i proclami di compattezza e unità sono suonati molto stonati.
Un frullatore di malcontento nel quale l’affaire S&D si è infilato nel momento più sbagliato possibile, ma il cui tappo è saltato con l’omaggio a Bettini. “Non abbiamo segreterie, direzioni, camere di compensazione delle decisioni come tutti gli altri partiti - dice un senatore - e ci cala dall’alto le decisioni prese con i caminetti del Pd, è imbarazzante”. L’incontro chiesto a Beppe Grillo non ha ancora ricevuto risposta, voci sul fondatore a Roma non trovano conferma. La calata del fondatore nella Capitale sarebbe la certificazione che Conte non ha il minimo controllo dei suoi. Sempre che di conferma ci sia bisogno.