Al Quirinale si stupiscono dello sbalordimento che pervade la politica ogni qualvolta Sergio Mattarella conferma di non essere interessato al bis, come se fosse una succulenta novità. Gli “oooooh” di sorpresa vengono giudicati sul Colle fuori luogo perché il presidente lo va dicendo da mesi, e sempre con la stessa identica motivazione: sette anni sono già tanti, forse perfino troppi; prolungarli significherebbe trasformare la Repubblica in una specie di monarchia. L’eccezione può capitare, difatti è successo con “Re” Giorgio Napolitano; ma se si ripetesse per due volte consecutive diventerebbe una regola. Tutti i presidenti futuri punterebbero alla riconferma. Invece di far rispettare le regole senza preoccuparsi del dopo, come spetta al Garante, si metterebbero a brigare per guadagnarsi un secondo mandato. Mattarella inorridisce all’idea di stravolgere la Costituzione: questa è la remora che lo frena. O perlomeno, è quella ufficiale resa nota finora.

Poi ci sono altre motivazioni di cui meno si parla, anzi sul Colle è severamente vietato accennarne, ma aiutano meglio a capire perché l’uomo è così testardo, e come mai non ci sia verso di trattenerlo anche solo per poco, giusto il tempo di coprire le spalle a Draghi e prepararne la successione. È una questione anzitutto di amor proprio: scaldare la poltrona in attesa di un altro, fosse pure Super Mario, non dà mai lustro; figuriamoci per chi certe soddisfazioni se l’è già levate e restare un altro po’ non gli aggiungerebbe nulla, né in termini di prestigio e nemmeno di autostima. Semmai avrebbe l’effetto di ammaccarla, qualora la supplenza dovesse sciupare il ricordo lasciato nei sette anni precedenti. Il Quirinale non è soltanto privilegi e onori; è anche una scommessa, un rischio, un anello di fuoco che Mattarella ha saputo attraversare senza ustioni nonostante avesse avuto a che fare con Matteo Renzi prima, coi populisti poi, accompagnandoli tutti quanti alla porta per far posto a Draghi, la “ciliegina” finale.

Nessuno che gli voglia bene potrebbe chiedere a Mattarella di rimettersi in gioco, di rituffarsi in un altro “ring of fire” proprio mentre sta assaporando la soddisfazione di tagliare il traguardo tra gli applausi. Si aggiunga l’ingratitudine umana di cui restò vittima Napolitano, che nel 2013, a 87 anni suonati, accettò di trattenersi dov’era; invece di riceverne riconoscenza venne rapidamente a noia; gli stessi che l’avevano supplicato di restare lo misero nel mirino; subì un crollo verticale di popolarità. Per quale motivo Mattarella dovrebbe infilarsi nello stesso vicolo cieco? Chi glielo farebbe fare? Il senso di responsabilità, certo; magari l’attaccamento al bene comune; l’interesse supremo del Paese e altre alate motivazioni. Ma nella vita di tutti i giorni un presidente a termine verrebbe considerato per quello che è: provvisorio, precario, con la valigia in mano. I vari leader lo ascolterebbero impazienti, ticchettando con le dita sull’orologio per segnalare che la scadenza è vicina. La sua autorevolezza sarebbe rasoterra.

Ecco perché Mattarella si risente quando, con l’aria di fargli un regalo, lo consigliano di resistere “un altro paio d’anni al massimo”, per poi eclissarsi. Ulteriore problema: al più tardi nel 2023 torneremo a votare; vai a sapere chi vincerà, con quali protagonisti il nuovo presidente dovrà rapportarsi. Mattarella è fatto come sappiamo, si ispira a principi che non sono gli stessi, per capirsi, di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini. Sull’Europa; sul sovranismo; sui migranti; sui vaccini; sulla solidarietà; praticamente su tutto. Nel caso possibile (secondo alcuni probabile) che quei due conquistino la maggioranza nel prossimo Parlamento, Mattarella si troverebbe nella difficile condizione di controfirmare leggi contrarie al suo set di valori, oppure di sfidare l’ira delle destre a rischio di impeachment o di dover dare le dimissioni. In entrambi i casi una sofferenza, un supplizio.

Ultimo dettaglio: a Napolitano chiesero di restare. Fu un moto unanime del Parlamento che, dopo avere bruciato tutte le possibili candidature, non trovava più santi a cui votarsi. Come sappiamo, Napolitano trovò la forza di accettare. Nel caso di Mattarella, invece, nessuno gliel’ha ancora nemmeno domandato. Non il Pd che magari lo eleggerebbe di nuovo, ma intanto guadagna tempo e si tiene sul vago; non i Cinque stelle, in pieno marasma esistenziale; figurarsi Fratelli d’Italia e Lega. Quanto al Cavaliere, si sa che gioca per sé. Ricapitolando: Mattarella non desidera il bis, si ficcherebbe in un grosso guaio e chi dovrebbe eventualmente supplicarlo per adesso se ne guarda bene. Insistere non è decoroso, meglio lasciarlo in pace.

UGO MAGRI