Negli anni Settanta l’Italia del fumetto satirico – e non solo – vantava alcune eccellenze del tutto affiancabili a quelle americane come BC, Wizard of Id, o anglosassoni come Andy Capp. Una di queste, oltre alla buonanima di Bonvi era ed ancora è il grandissimo Silver. Quest’ultimo fu l’ideatore geniale di uno dei personaggi più demenziali delle strisce: Cattivik, disegnato come una pera antropomorfa nera in ricordo forse di Diabolik, dovrebbe essere l’apoteosi del Male e del Crimine, invece è soltanto un imbecille incapace di portare a termine qualsiasi tentativo di delinquere, finendo vittima delle sue stesse fallimentari trame. Ma Cattivik passerà alla storia del fumetto di genere, non tanto per l’essere l’ennesimo “villain” sfortunato, cosa che lo porrebbe alla pari di Silvestro o di Willy il Coyote, ma per la sua caratteristica parlata, che fa terminare ogni parola in maniera tronca, privandole cioè della vocale finale.
Oggi, apprendiamo che Cattivik ha fatto scuola, ma non fa più ridere, e dunque al Liceo Cavour di Torino si adotterà una simile terminologia, non per essere più scattante né più “malvag” come avrebbe egli voluto, quanto per essere in tendenza sintonica con il politically correct che non vuole la desinenza di genere nelle parole. Ecco, dunque, che nei comunicati ufficial* si sostituirà alla vocale finale l’asterisc* perché diversamente qualcun* potrebbe offendersi e sentirsi non inclus* o peggio ancora, “binario” e come tale “triste e solitario” anzi no, scusate “trist* e solitari*. Insomma, non leggerete più “studenti” né “studentesse” – ohhh orrore! – bensì student*, che magari dovranno essere accompagnati dal “genitore 1” o dal “genitore 2”, immaginiamo in caso di richiamo scolastico. Se tutto ciò non fosse di una tristezza infinita, che di certo sta provocando sommovimenti tellurici nei sacelli di molti dei nostri avi che hanno contribuito a creare la lingua italiana, ci sarebbe da sganasciarsi dalle risa più sguaiate, ma purtroppo questa è la realtà della scuola odierna e non una striscia a fumetti.
Qua abbiamo perduto non solo il buon senso, ma anche il senso dell’umorismo e quello dell’ironia, che altrimenti avrebbe evitato il ridicolo. Stiamo parlando di un ridicolo ancora peggiore di quel patetico tentativo, che avvenne durante il Ventennio, di ricondurre a una perfetta lingua italica termini adottati dall’estero. Insomma, come sempre la strada verso gli Inferi è lastricata dalle migliori intenzioni e in questo caso, però, anche da una supponente e arrogante ignoranza che, dopo aver devastato altri campi del sapere umanistico, adesso ha preso di mira la lingua del Belpaese. Non paghi di aver introdotto termini orrendi come “femminicidio”, “resilienza” e tanti altri, non contenti di scrivere ormai in una sorta di lingua franca simile a un gramelot, e non certo a un argot, che spesso conta più parole inglesi che italiane, del tutto inutili in quanto esistente appunto il loro corrispettivo italico, alle quali poi vanno sommati i neologismi ibridi che non sono né italiano né inglese, come “blastare” tanto per dire il primo che mi viene in mente, oggi diamo il colpo ferale con l’introduzione dell’asterisco.
Segno di interpunzione, anche simpatico forse proprio perché poco usato, l’asterisco sino a ieri significava il rimando a una nota del testo oppure in qualche elenco, ma soprattutto richiamava alla mente del lettore un altro straordinario personaggio del mondo dei fumetti: Asterix. Il piccolo gallo accompagnato dal fedele e gargantuesco Obelix. E all’Accademia della Crusca cosa dicono? Diranno che la lingua italiana è in continua evoluzione, per tirarsi fuori dall’impaccio e dunque non voler apparire troppo arcaicamente rétro e conservatori? Così, dunque, dovremmo rassegnarci a vedere l’asterisco sui cartelli stradali, sulle indicazioni della toponomastica, sulle targhe all’interno degli ascensori, in un tripudio di politicamente corretto e in una totale assenza di intelligenza. Benvenuti nel XXI secolo, ahhhh… scusate ancora… secol*!
DALMAZIO FRAU