DI MARCO FERRARI
"Il formidabil monte" mette in mostra al Museo archeologico virtuale di Ercolano una selezione di 60 scatti tratti dagli archivi della Fondazione Alinari di Firenze. I vulcani con la loro natura di creatori e distruttori naturali, vortici che si inabissano nel ventre del pianeta, hanno sempre affascinato letterati, poeti, pittori, cineasti e fotografi. Sicuramente il Vesuvio, con l'eruzione del 79 d.C., è diventato il più famoso e temuto vulcano del vecchio continente. Ma anche la sua posizione è motivo di attrazione artistica, così piazzato nella scenografia di uno dei golfi più belli del mondo, con una grande città ai piedi, le isole ai lati, teatro di miti e leggende oltre che di immani catastrofi. Il Vesuvio è stato raccontato e descritto da scrittori e poeti importanti quali Johann Wolfgang von Goethe, Sir William Hamilton, François-René de Chateaubriand, Leopardi, Dickinson e Stendhal, ma anche da artisti moderni, soprattutto con la nascita della fotografia. Ecco perché al MAV.5 di Ercolano va in scena il Vesuvio, la montagna meridionale per antonomasia, "a muntagna", simbolo di un intero territorio, punto di orientamento per i napoletani.
L'esposizione è suddivisa in due sezioni: "Il Vesuvio tra fotografia del Grand Tour e sperimentazione" ed "Eruzioni", vale a dire il sonno e i risvegli di una "terribile bellezza". Le immagini coprono l'arco di un secolo, da metà 800 al 1944, data dell'ultima eruzione, testimoniando i mutamenti del paesaggio urbano e montano. Ecco allora le prime quattro fotografie dell'eruzione del 1872 con la gente che attraversa le campagne per allontanarsi dal pericolo. Altre immagini ci illustrano le escursioni in portantina o in funicolare dei turisti e dei visitatori stranieri e gli scavi archeologici sotto il fumo del Vesuvio. C'è la percezione di un territorio che, a partire dall'eruzione del primo secolo, raccontata da Plinio il Giovane, ha sempre dovuto fare i conti con la presenza incombente del vulcano, un potenziale nemico da farsi amico. «Non si tratta di un'operazione nostalgia, – spiega Luigi Vicinanza, presidente della Fondazione C.I.V.E.S che gestisce il MAV, – ma di un contributo alla conoscenza di un territorio straordinariamente ricco di storia, paesaggio e aree archeologiche, un'occasione per approfondire la conoscenza di questo territorio tra residenti e turisti, un altro tassello per la messa a sistema del patrimonio culturale della regione».
La mostra, curata da Rita Scartoni della Fondazione Alinari e da Vittorio Ragone, fondatore della web-rivista Foglieviaggi, ci porta sino ai giorni nostri con due scatti recenti: una foto Alinari del 1997 che riproduce il cratere del Vesuvio dall'alto e illuminato dal sole e una foto del 2016 di Massimo Sestini, scattata dagli elicotteri della polizia di Stato, dai toni crepuscolari. Forse le foto attuali testimoniano meglio l'eredità di questa montagna che permea il territorio circostante di una sorta di costante precarietà, come racconta Marcello Colasurdo, voce e tammorra dello storico Gruppo Operaio 'E Zèzi di Pomigliano d'Arco, nel brano intitolato "Vesuvio": «Muntagna fatta 'e lave 'e ciente lengue / tu tiene mmano 'a tte 'sta vita meja» (Montagna fatta di lava di cento lingue/ tu hai nelle tue mani la mia vita). Una sorta di fatalità, dunque, che i nativi sentono quale testamento delle generazioni precedenti che, più di adesso, hanno sofferto la presenza del vulcano.
Ma il Vesuvio è allo stesso tempo souvenir di viaggi e minacciosa e collerica presenza, un soggetto adatto alla fotografia. Nel catalogo generale di vendita dello Stabilimento Alinari degli anni 1873-1887, la Campania e le città vesuviane compaiono con un considerevole numero di soggetti, incrementati ampiamente sotto la guida di Vittorio Alinari a partire dalla fine dell'Ottocento (con un servizio fotografico alla sommità del Vesuvio proposto nel catalogo del 1907, completamente dedicato alla Campania o napoletano) e ancora con campagne fotografiche sul sito archeologico di Pompei negli anni trenta del Novecento. Nel secolo scorso sono poi confluiti in Alinari gli archivi di altri importanti fotografi attivi a Napoli come Chauffourier e Brogi, quest'ultimo con una produzione particolarmente ampia di soggetti campani, corrispondenti, alla fine dell'Ottocento, a quasi il 30 % dell'intero catalogo generale. Si sono aggiunte poi collezioni fotografiche, opere di atelier che contribuirono ad animare il clima culturale di Napoli come quelli di Robert Rive, Alphonse Bernoud, Giorgio Sommer o album di fotografi amatoriali, spesso anonimi, che hanno documentato le eruzioni e i loro effetti devastanti su cose e persone, arrivando fino all'ultima eruzione del 1944. Un caso di particolare interesse è poi offerto dall'archivio Giorgio Roster, fotografo scienziato fiorentino che applicò la fotografia a vari campi di indagine scientifica.