di Martina Regis
Una rivoluzione e un cataclisma. Sono questi i due fattori che in pochissimo tempo hanno scosso fin dalle fondamenta il mercato del lavoro. Quando parliamo di rivoluzione parliamo di internet, quando parliamo di cataclisma parliamo naturalmente di Covid-19. Che la pandemia abbia accelerato la transizione digitale, già in corso da anni, è un fatto ormai arcinoto. Negli ultimi due anni siamo stati letteralmente inondati di analisi, statistiche, previsioni di trend futuri, prodotti contemporaneamente da istituzioni ed enti privati.
Il motivo si intuisce facilmente: se cambia la realtà attorno a noi (ed è certamente cambiata), cambia anche il mercato del lavoro. E, quindi, cambiano le prospettive future dei giovani che ci si affacciano, come quelle dei meno giovani che ci devono rimanere.
Il report 2020 del World Economic Forum – proiettato fino al 2025 – traccia un bilancio globale apparentemente drammatico, con 85 milioni di posti di lavoro in meno per quelle professioni che, ormai, possono essere svolte dalle nuove tecnologie. Ma c'è, per fortuna, l'altra faccia della medaglia: il contraccolpo occupazionale sarà bilanciato dai 97 milioni di posti di lavoro generati per le professioni emergenti. La maggior parte legate, è chiaro, al nuovo paradigma digitale. Unioncamere conferma questi dati anche a livello nazionale; Excelsior stima che, per il periodo 2021-2025, il fabbisogno di personale dotato di competenze digitali sarà compresa tra 2 milioni e 2,1 milioni di occupati, cioè il 57% circa del fabbisogno totale.
Un mercato in netta espansione dunque, trainato dalla domanda di digital skills. Domanda che interesserà sia figure professionali già esistenti, sia quelle emergenti, i pionieri del web work. Le più nuove – e anche le più richieste – sono legate al mondo di Internet e delle sue piattaforme. Questo perché sono ormai parte integrante della nostra quotidianità. Basti pensare ai dati emersi dal rapporto pubblicato da We Are Social e Hootsuite 2021, secondo cui sette italiani su dieci sono attivi sui social. Il che rende queste piattaforme, il più delle volte, miniere d'oro. E non solo le "classiche" - Youtube, Instagram, Facebook o Twitter – ma anche quelle di più recente fama, come dimostra il caso di Onlyfans.
Chi sono e cosa fanno, allora, i pionieri del web market?
Data Scientist
Una nomenclatura sicuramente affascinante quella che definisce l'esperto di data science e big data. Quella figura, cioè, che si occupa dello sviluppo di modelli e strategie sulla base dei dati di cui dispone, con lo scopo di ottenere informazioni utili al business aziendale. Questi "data" possono essere di diverso tipo: human generated, cioè rilasciati da un utente su una qualsiasi piattaforma attraverso la procedura di login, machine generated, ossia prodotti da sorgenti come ad esempio i sensori Gps, e infine i dati che vengono prodotti internamente all'azienda come gli ordini di acquisto e vendita, i business generated data.
Il Data scientist quindi analizza, traduce e interpreta i dati, attraverso specifici linguaggi di programmazione (come SQL, Python e R). L'obiettivo è duplice: comprendere i trend e sviluppare modelli predittivi. Il che comporta una serie di conseguenze positive, come la riduzione dei rischi e delle perdite o dei costi delle campagne di marketing. Tutti fattori che rendono questa figura estremamente ricercata, al punto da spingere la Harvard Business Review a pubblicare un articolo dall'iconico titolo "Data Scientist: The Sexiest Job of the 21st Century".
Oltre a essere appetibile, quella del Data scientist è una figura nuova, soprattutto in Italia, stando ai dati prodotti dall'Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence, che ne monitora la presenza all'interno delle grandi aziende italiane dal 2014. Nel 2021, il Data Scientist è presente nel 49% nelle grandi aziende e sta lentamente prendendo piede anche nella realtà delle Piccole e medie imprese.
Artificial Intelligence Engineer
L'Artifcial Intelligence Engineer, altresì noto come il Machine Learning Engineer, è certamente un tecnico, dotato di un background matematico che combina statistica e informatica. Sviluppa delle "macchine intelligenti" che apprendono le informazioni direttamente dai dati e dall'esperienza attraverso metodi matematico-computazionali, evolvendo e migliorando continuamente e in autonomia. Si tratta dei famigerati algoritmi, più precisamente "algoritmi di raccomandazione".
È grazie all'AI Engineer se il nostro account Netflix, se abbiamo visto Narcos, ci suggerisce di vedere Peaky Blinders, risparmiandoci magari dallo strazio de La Casa di Carta. È sempre grazie a questa figura se i contenuti sulle nostre bacheche social compaiono in un certo ordine (o non compaiono proprio). E sono ancora gli algoritmi, in questo caso detti di "reiforcement-learning", ad essere utilizzati per fissare i prezzi online, rivelandosi quindi centrali per le piattaforme di e-commerce.
Sebbene ogni piattaforma internet abbia il "proprio" algoritmo, per tutte costituisce il pilastro principale del proprio modello di business. Rendendo, di conseguenza, l'AI Engineer uno dei principali "nuovi mestieri" del futuro legato al mondo virtuale, come confermano infatti le proiezioni Excelsior al 2025.
Digital advertiser
Il Digital Advertiser è lo specialista della pubblicità, specificamente della pubblicità online. In particolare, si occupa di Facebook ADS, inserzioni a pagamento su Instagram, Google ADS Twitter Advertising, vendita di banner e pubblicità display e native advertising. Non un social media manager, nemmeno un semplice specialista di marketing. Piuttosto, una figura nuova, nata dal bisogno di intercettare i bisogni dell'utente così come espressi nei nuovi "luoghi" di internet.
Nel 2021, stando allo studio, curato da Andrea Samaja, Partner PwC Italia TMT Leader Cross Line of Services, e Maria Teresa Capobianco, Partner PwC Italia TMT Consulting Leader, la crescita dei ricavi del settore digital è stata guidata non solo dall'aumento di accessi internet, ma anche e soprattutto dall'internet advertising. Il che ovviamente rende lo specialista della pubblicità su internet una figura, oltre che nuova, particolarmente ghiotta e soprattutto una figura che, in futuro, vedremo consolidarsi sempre di più in seno alle aziende.
Brand Manager
Profilo di respiro più ampio, ma comunque intimamente legato al mondo del digitale e di Internet, è il Brand Manager. Il suo lavoro consiste nell'ideare, sviluppare ed implementare progetti di marketing per far crescere il brand di cui è responsabile, in senso economico, strategico ed operativo. In poche parole: valorizzare l'immagine del marchio, per aumentare le vendite e assicurare la fedeltà a lungo termine dei clienti.
Come? Innanzitutto, definendo la "brand identity". Letteralmente: l'identità, la personalità del marchio, legata a immagini emotive, rappresentazioni ed elementi distintivi. Questo è possibile grazie ad un'analisi quantitativa e qualitativa del mercato, che studi le preferenze e le abitudini di acquisto dei consumatori. Dai dati, il Brand Manager elabora una strategia di sviluppo della marca a lungo termine e definisce gli obiettivi, le priorità, in generale la strategia di marketing. Su questa strategia ovviamente si baserà la cura dell'immagine del prodotto.
Naturalmente il Brand Manager gestisce tutte le attività di comunicazione e di promozione pianificate: campagne di comunicazione, pubbliche relazioni, promozione del marchio nei punti vendita, rapporti con le agenzie pubblicitarie. Tuttavia, è innegabile che al giorno d'oggi un posto di rilievo sia occupato dal digital branding. Tanto che, infatti, si parla sempre di più di "Digital Brand Manager". Secondo una recente ricerca condotta da Linkedin, basata sull'analisi delle attività dei 15 milioni di italiani, il marketing digitale rientra a tutti gli effetti tra i settori che sono cresciuti di più nel 2021, e che proseguirà a crescere in futuro, confermando i pronostici del WEF e di Excelsior.
User Experience Designer o UX Designer
Lo User Experience Designer (UX Designer) "disegna" l'esperienza dell'utente. Detto così potrebbe risultare piuttosto oscuro, ma in realtà il concetto è abbastanza semplice. Quando interagiamo con un servizio o con un prodotto, noi proviamo una serie di sensazioni, immagazziniamo un'esperienza. Se quell'esperienza è positiva – soddisfacente – il merito è dello UX Designer. Il suo lavoro è definito, per questo, "human-centred". E non si limita alla sola progettazione di beni e servizi di vario tipo (dagli smartphones alla filiale di una banca) ma comprende anche la cura dell'esperienza utente sulle piattaforme web.
Oggigiorno, chiediamo a Internet non solo di essere funzionale, ma di essere anche un "bel posto", dove sia piacevole sostare. Ecco perché lo UX Designer, così tanto legato al mondo virtuale che contribuisce a costruire, oltre ad essere una figura innovativa è anche uno di quei lavori capace di scalare le classifiche dei pronostici. Compare infatti tra i cinque trend occupazionali di quest'anno riportati da Linkedin, e nell'analisi proposta da Talent Garden, in collaborazione con Cisco Italia e Intesa Sanpaolo (ne ha parlato anche Ilaria Betti qui).
Moderatori
Infine, i moderatori di contenuti. Queste figure, invisibili e sfuggenti, sono profondamente diverse da quelle appena elencate. Il loro lavoro è concettualmente assimilabile ad un lavoro di pulizia: eliminare sistematicamente la spazzatura virtuale – cioè i commenti che travalicano la soglia del reato – dalle chat, dai forum, dalle bacheche di pagine pubbliche.
Un lavoro semplice, potremmo dire. Peccato che i circa 3 miliardi di persone connesse a internet nel mondo producano al giorno, in media, 500 ore di materiale caricato al minuto su YouTube, 2.5 milioni di post al minuto su Facebook e 450.000 su Twitter, come spiega "The Cleaners", documentario investigativo diretto nel 2019 da due giovani cineasti tedeschi, Hans Block e Moritz Riesewieck.
I ritmi sono altissimi, i moderatori sono una specie di esercito: solo in Italia si stima ve ne siano circa circa 100mila, scrive Jacopo Franchi in "Gli Obsoleti", libro-inchiesta pubblicato nel 2021. Qui, l'autore paragona i moderatori a "le masse di operai senza volto del capitalismo industriale ". In effetti, la principale e sostanziale differenza tra loro e tutti gli altri nuovi profili professionali emergenti sta proprio nel fatto che il moderatore non ha profilo. Non un percorso formativo-accademico, non delle skills particolari, non delle responsabilità che non siano eliminare i commenti inadatti. Sono manodopera, lavoratori nuovissimi ma sempre avvolti dall'ombra, per cui manca anche una tutela contrattuale effettiva e omogenea.
Un orizzonte ampio, insomma, quello che si apre davanti a noi per i prossimi anni. Nuova realtà, nuovi lavori, nuove figure professionali in incubazione. Che il digitale giochi un ruolo centrale, però, nel determinare i meccanismi e le dinamiche – le istanze e a volte le ingiustizie – del nuovo mercato del lavoro, è ormai fuori di ogni dubbio.