di Giorgio Merlo
La corsa per l'elezione del presidente della Repubblica, come ormai avviene da alcuni decenni anche se in questi ultimi tempi si è accentuato, è un grande evento politico che è anche diventato, e sempre di più, un fatto di costume politico. E lo possiamo verificare e accertare dal come viene letto ed interpretato dai vari organi di informazione. E cioè, intere paginate di giornale - e adesso anche nei vari talk televisivi - dedicate alle trame, ai tranelli, alle ambizioni personali e alle potenziali alleanze che possono emergere dopo l'elezione da parte dei cosiddetti "grandi elettori" del Presidente della Repubblica.
Per carità, un iter che esiste da tempo e che ormai quasi non è più una novità. Certo, ogni stagione politica risponde alle costanti e alle dinamiche che caratterizzano le singole fasi storiche e politiche del nostro paese. Ma quella contemporanea, forse, è una delle più originali, e al contempo complesse, che la Repubblica italiana sta vivendo concretamente. Però c'è una differenza, e anche profonda, rispetto a un passato anche solo recente. E cioè, mentre un tempo esistevano i partiti, i grandi partiti popolari e non solo quelli e, accanto ai partiti, anche i leader che guidavano ed affollavano questi soggetti politici, ora il panorama è cambiato quasi radicalmente. Ovvero, partiti simili a cartelli elettorali, leader che al primo snodo difficile e complesso vanno in difficoltà, numero di peones - cioè di parlamentari eletti per caso e destinati, quasi scientificamente, a non ritornare più nei palazzi del potere - sempre maggiore ed esposti al vento della instabilità e della precarietà degli attuali equilibri politici e, infine e soprattutto, partiti e capi partito che non controllano più i rispettivi gruppi parlamentari.
E questo è il punto più delicato e più controverso dell'attuale stagione politica. La vicenda dei 5 stelle, al riguardo, è persin troppo nota per essere descritta e approfondita. E il fatto che il dibattito concreto ruoti, sostanzialmente, attorno alle ultime mensilità dei parlamentari prima della fine della legislatura - molti dei quali non ritorneranno più nelle aule del potere legislativo - e al raggiungimento del fatidico vitalizio nel prossimo mese di settembre, la dice lunga sulle nubi e sulle miserie che sorvolano l'elezione del futuro presidente della Repubblica. Altroché il populismo anti politico, demagogico e qualunquista che rivoluzionava e cambiava in profondità il sistema politico italiano. Tutte stupidaggini frutto di una propaganda che era viziata fin dalle origini, com'è evidente in modo persin plateale.
Ecco perché questa elezione è diventata più un elemento di colore politico che non un fatto politico e costituzionale di straordinaria importanza. Come, del resto, dev'essere. È anche solo sufficiente osservare silenziosamente come viene gestita e affrontata dai grandi organi di informazione per rendersene conto. Sembra, lo ripeto, solo e soltanto una somma di trame infinite e di tranelli quotidiani conditi da un intramontabile trasformismo parlamentare e accompagnato da un ceto politico squalificato e alla ricerca, nella sua maggioranza, - come nei fatti risulta, purtroppo - dell'unico elemento che lo interessa: ovvero, come conservare il più a lungo possibile lo stipendio mensile.
Ed è proprio di fronte a questo quadro che può nascere una comprensibile reazione. E mi riferisco a tutti coloro che perseguono, da anni, l'obiettivo di una radicale riforma istituzionale per l'elezione del presidente della Repubblica. Cioè una elezione disciplinata dal sistema presidenziale. Una strada, quindi, che eviterebbe questo spettacolo, sempre più degradante, a cui assistiamo ormai da mesi anche questa volta.
Siamo, dunque, a uno snodo. O l'elezione del Capo dello Stato riassume quella solennità, quel garbo e quella serietà che merita da parte della politica e dei suoi attori principale essendo la più alta carica dello Stato oppure il potenziale cambio di sistema elettorale non potrà che essere preso in seria considerazione prima o poi.
Ancora una volta dipende tutto e soltanto dalla politica. Speriamo che le scorie del populismo grillino, al riguardo, siano giunte al capolinea e possa ritornare, almeno un po' alla volta e progressivamente, la credibilità e la nobiltà della politica. Per il bene della politica italiana ma, soprattutto, per la credibilità delle nostre istituzioni democratiche.