di Pina Picierno
È stato un anno ancora segnato dalla crisi pandemica, che ha visto questo enorme dramma sanitario ancora segnare la nostra quotidianità. La scienza ha compiuto passi celeri e decisivi per il suo superamento, ma guai a pensare di esserci messi tutto alle spalle, come questi giorni stanno rappresentando purtroppo molto efficacemente.
Sono lontani i giorni delle immagini delle corsie piene dei nostri ospedali e dei mezzi militari utilizzati per il trasporto dei deceduti, ma dovremo fare i conti con una guerra lunga che necessiterà di misure di prevenzione e contenimento ancora per lungo tempo. Il nostro Paese, più di ogni altro, l'ha capito e ne ha fatto la propria guida di politiche pubbliche.
È stato un anno di robusta e solida crescita economica dopo mesi difficilissimi, nonostante il perdurare della crisi e l'impennata dei prezzi energetici. Il Next Generation Eu comincia a mostrare la propria vitalità e la sua concreta attuazione già sta consentendo al paese e all'Europa di guidare una ripresa più rapida delle stesse previsioni. È stato l'anno dell'Italia, come ben sintetizzato dalla copertina dell'Economist. L'anno del lavoro sapiente e concreto di Mario Draghi, l'anno del binario giusto sul quale far viaggiare la nostra locomotiva, con populisti e nazionalisti di ogni risma ridotti a rumore di fondo.
Bisognerà tenerne indubbiamente conto nelle prime settimane dell'anno venturo, nel delicato tornante dell'elezione del presidente della Repubblica. È stato anche l'anno che ci ha regalato di nuovo il sorriso di Zaki, testimonianza di quanto ancora il connubio tra libertà e diritti umani sia il pendolo delle oscillazioni globali e geopolitiche rivolto avverso i regimi e l'oppressione. Questo, indubbiamente, uno dei principali impegni per l'anno che verrà, pena la marginalità occidentale da molti scenari internazionali che stanno diventando teatri di esercizio per una rinnovata politica d'influenza di altre grandi potenze globali, come Cina e Russia.
A partire dall'Afghanistan e dall'immane tragedia delle sue donne e della sua popolazione. In politica estera è stato soprattutto l'anno del ritiro caotico e improvvisato da quel paese. Dimenticarlo equivale non solo a lasciare in sospeso i conti con la storia, che prima o poi torna con le aggravanti del tempo, ma equivale innanzitutto a non fare i conti con le sfide che ci aspettano nel futuro. Da una parte l'Europa con la sua ambigua potenza, dall'altra parte gli Stati Uniti con la sua incertezza tra isolazionismo e paura di smarrire primati, lasciano praterie all'affermarsi o al consolidarsi nel mondo di regimi oppressivi che sono il naturale focolaio di violenze verso la popolazione e di iniziative anti-occidentali, siano esse terroristiche o di altra natura.
Qui non si tratta di essere ingenui: libertà e diritti umani ovviamente non sono l'unica bussola. È negarne la piena cittadinanza nella nostra politica estera ad essere ingenuo, oltre che moralmente sbagliato. Se riduciamo il confronto tra potenze ai soli primati economici, energetici e tecnologici, presto o tardi a prevalere potranno essere regimi che sull'altare di quei primati sono disposti a sacrificare qualsivoglia libertà e diritto.
In poche parole, combinare la politica estera dell'Unione Europea con la ricerca della libertà e l'affermazione dei diritti umani non è solo giusto ma utile. Si è molto parlato nei mesi scorsi di corridoi umanitari, per garantire chi fugge dal rinnovato orrore dei talebani, in particolare per le donne di quel paese. Siamo ancora in tempo, si è sempre ancora in tempo, finché la vita prevale sull'orrore e finché la nostra presenza in scenari di guerra e oppressione trova senso anche in princìpi non negoziabili.