di Pietro Di Muccio de Quattro

 

No, la (ri)sistemazione di Sergio Mattarella al Quirinale e di Mario Draghi a Palazzo Chigi non significa che tutti i tasselli della politica siano tornati a posto, dopo lo scombussolamento della convulsa votazione. Non conta appurare se i Dioscuri della Repubblica siano felici e contenti di continuare. Benché accomunati, non hanno destini comuni. Mentre il tempo di vita costituzionale di Mattarella è fissato dalla Costituzione, salvo rinuncia, Draghi ha davanti (quasi) certamente un anno. Il presidente della Repubblica, dopo l’elezione, è padrone di se stesso e delle sue funzioni, criticabile quanto si vuole ma di fatto autocefalo. Il presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile, purché goda della fiducia del Parlamento, il che vuol dire maggioranze, opposizioni, partiti e capipartito. Se le Camere smettono di sostenerlo, nessuno può salvarlo dalla destituzione o dalle dimissioni indotte. Neppure Mattarella che di fatto lo ha imposto riuscirebbe a mantenerlo in carica contro la volontà delle Camere, nelle quali la maggioranza è stata determinata dall’emergenza della pandemia e dalla necessità di corrispondere alle condizioni europee del Piano nazionale di ripresa e resilienza(Pnrr).

La pandemia, nella migliore delle ipotesi, è in una fase stazionaria. Il Pnrr è nella fase d’avvio. Alla pandemia gl’Italiani hanno finito per assuefarsi, come ad un evento ineluttabile. Le conseguenze economiche della pandemia, invece, sono in atto e fanno disperare per il futuro. A dare speranza e affidabili prospettive dovrebbe servire la messa in funzione di tutte le leve finanziarie ed operative del Pnrr. Mario Draghi dovrebbe assicurare proprio questo. Sennonché sono tali e tante le “microrivoluzioni” settoriali innescabili dal Piano che la tregua conseguente e conseguita con il mantenimento dei Dioscuri nelle loro funzioni appare fragile. Non basta ripetere come un coro di pappagalli che il Piano farà rinascere l’Italia “più grande e più bella che pria”. Infatti, nonostante le prescrizioni e le condizioni dell’Europa, esse non sono ferree come dicono e spetterà pur sempre al nostro Parlamento un’ampia discrezionalità esecutiva, per di più in campi fondamentali dell’ordinamento. Sono gli stessi campi sui quali da decenni si combatte la battaglia dell’ammodernamento delle istituzioni, nella quale i partiti che adesso sono in maggioranza sono stati normalmente su fronti contrapposti. Questa contrapposizione il voto per il Quirinale ha coperto sotto le chiacchiere e le manovre per la ricerca del candidato ideale. Il silenziatore ha appena smesso di funzionare che partiti, correnti, fazioni, leader, primattori e figuranti hanno ripreso a scompaginare i fronti, mentre di fatto hanno aperto la campagna elettorale per il nuovo Parlamento, il Parlamento amputato.

Probabilmente Mario Draghi durerà fino al rinnovo delle Camere. Profitterà della tregua che conviene ai partiti che lo sorreggono. Ma per dopo è impossibile azzardare previsioni. A distanza di un anno dalle elezioni generali, non conosciamo né la legge elettorale per il nuovo Parlamento né i Regolamenti con cui funzionerà! La tregua finirà. Sfocerà nella pace della ricostruzione o nella guerra distruttiva.

Mentre dura, la tregua appare crepata dai dissidi sulla pandemia, dalle contrapposizioni sull’economia, dall’inconcludenza sulle questioni elettorali e regolamentari, dalle prospettive della maggioranza governativa, dalle renitenze a decidere esattamente il minuzioso impiego dei fondi del Pnrr. Nel frattempo, l’inflazione ha rialzato paurosamente la testa e nel cuore dell’Europa gli eserciti si fronteggiano minacciosi.