di Giorgio Oldoini
Ogni cinque anni, in Italia si riprende a discutere sulla legge elettorale, che i partiti vogliono cambiare per assicurare la “governabilità” del paese.
È questa l’eredità dei nostri padri costituenti che avevano deciso di non prevedere una tecnica di voto, come invece è accaduto nei paesi occidentali più stabili del nostro.
Qual è dunque il sistema che meglio tutela le moderne democrazie dal qualunquismo e dall’opportunismo? Nel sistema proporzionale puro, l’elettore ha idee politiche precise e vota per i candidati appartenenti ad una determinata famiglia spirituale. Il sistema uninominale era considerato adatto “ai contadini” alieni dal partecipare alla vita dello stato, paghi di eleggere il deputato, incapaci di controllarlo.
Nel sistema dei due blocchi all’italiana, il governo non è espressione del partito vittorioso, ma di una coalizione di gruppi diversi per tradizione e programmi. Il pericolo in agguato è quello dello pseudo-parlamentarismo dei due falsi partiti, dei due “blocchi” di interessi uniti dal desiderio di accaparrarsi il potere.
La sostituzione del parlamento dei partiti a quello dei notabili è già avvenuta e si percepisce la fine imminente delle libertà democratiche. La società di oggi è cambiata, non è più divisa tra reazionari e progressisti, rossi o neri. La gente pretende risposte a problemi concreti.
Eppure la “politica” continua ad essere subordinata alla magistratura. I politici che ai nostri giorni denigrano il passato per abbattere i loro avversari, hanno ripreso la tradizione dei demagoghi ateniesi, riesumati ad esempio dalla Lega (il motto elettorale “Roma ladrona” ha portato male a Bossi -tuttora senatore della Repubblica-, condannato per tangenti al partito e vilipendio alla bandiera, perché, dichiarava: “quando vedo il tricolore mi incazzo”.
I 5 Stelle, impersonati da un comico con la fedina penale sporca, impediscono le elezioni per non perdere il soldo parlamentare di un anno. Tutte queste situazioni ci ricordano Napoleone che faceva fucilare i più accesi giacobini diventati profittatori di guerra.
La Scuola, che abbassa gli standard dell’insegnamento in nome di un falso egualitarismo, continua a ricoprire una posizione di retroguardia nel mondo. L’Università dei baroni viene oggi rimpianta dagli stessi studenti che ricevono pezzi di carta senza valore.
La politica fiscale, che in tutto il mondo rappresenta lo strumento per favorire il proprio sistema produttivo, è tuttora gestita secondo il criterio ottocentesco della cosiddetta “equità”.
Nel frattempo, primeggiano i paesi che si sono basati sui sistemi “premianti” che incentivano l’iniziativa economica. Ma possiamo andare più a fondo, scavare nella società comune.
Il direttore di una compagnia d’assicurazione “danni”, mi spiegava che i premi in Italia sono più elevati della media europea, a causa del numero di denunce per falsi sinistri. Si trattava della stessa persona che si avvaleva di un collegio di legali, per cercare tutti i cavilli di nullità delle polizze, al fine di sottrarsi al pagamento di somme dovute.
Egli giustifica il proprio comportamento verso i signori Rossi, per il fatto che l’ha a sua volta subito da tanti signori Bianchi.
I segretari di partito affermano che senza contributi esterni non è possibile sostenere il peso di una campagna elettorale o mantenere una struttura permanente. Ogni leader politico giustifica il ricorso a strumenti illegali di finanziamento o alle “consulenze” di dubbio contenuto, basandosi sul fatto che “così fan tutti”.
Queste pratiche della Prima Repubblica continuano immutate. Ancor oggi l’individuo che procaccia risorse aggirando le regole è considerato un protagonista positivo. Come Greganti all’epoca del PCI, osannato come un eroe alle feste dell’Unità.
I vigili genovesi motorizzati (e non so se di altre città) si mimetizzano nel traffico in abiti borghesi per individuare l’autista che non allaccia le cinture o usa il cellulare. Il che può essere accettato a condizione che si creino corpi di vigilantes che organizzano agguati negli uffici dei funzionari pubblici (vigili compresi) per verificare la loro produttività.
L’alto costo degli interessi bancari è la conseguenza d’insolvenze “uniche al mondo”; il burocrate pubblico lavora poco e male per “la bassa retribuzione” e per paura della responsabilità erariale.
Il magistrato accumula arretrati perché le leggi sono incomprensibili, gli organici sono inadeguati e le cancellerie non funzionano.
Poiché l’interesse organizzato finisce sempre per sovrastare quello della collettività, occorre evitare che le singole organizzazioni dispongano di risorse e tutele particolari.
I gruppi devono pertanto essere responsabilizzati come tali. Non è sufficiente che i danni da essi sistematicamente causati al sistema possano essere ricondotti a singoli componenti o alla leadership.
I sistemi di legge prevedono numerose ipotesi di responsabilità collettiva, come nel caso degli scioperi per fini non contrattuali, del boicottaggio o del sabotaggio.
Le imprese societarie rispondono dell’azione isolata di un amministratore che abbia commesso un reato per avvantaggiarle. Non si comprende bene perché una norma che produca analoghi effetti, non possa essere applicata nell’ambito delle burocrazie pubbliche al fine di considerare responsabili tutti i membri consapevoli del gruppo inefficiente. Ad esempio per i casi di perdurante assenteismo o di una produzione professionale inadeguata.
Si è compreso come la leadership debba essere ricoperta da chi possiede requisiti che nulla hanno a che vedere con la militanza politica, ideologica o fideista. E cioè da uomini che ricoprano la carica con dignità e preparazione, in grado di esercitare una moral suasion ed aggregare il loro “popolo”.
Senza bisogno di ricorrere alla distribuzione di benefici individuali o collettivi. La gente comune vede in Draghi l’uomo della provvidenza ed ha paura che al governo ci vada qualche leader degli attuali partiti.
Si sta comprendendo che la democrazia è la selezione dei più capaci per la promozione di tutti e che un deputato o leader di partito che non parla un inglese fluente dev’essere tenuto lontano da cariche di governo.
Per attuare la scalata al potere, il gruppo politico pirata, impone i propri uomini nelle posizioni nevralgiche, sacrificando le professionalità ad esso estranee. Questa tecnica trova controindicazione nel fatto che i successivi pirati finiranno per sostituire brutalmente quelli precedenti ricorrendo alla medesima prassi.
La condizione che vede le istituzioni e le burocrazie spartite tra i gruppi politici, ancorché la divisione sia rispettosa del peso di tutte le forze in campo, non può durare. Perché le stesse istituzioni perdono credibilità e l’intero sistema risulta delegittimato.
La dichiarazione di Conte che rivendicava la spartizione “equa” dei posti in Rai, ha scandalizzato la componente “etica” dei 5 Stelle, guidata da Di Battista. La fiducia verso un sistema politico discende dalla capacità dei governanti di convincere i cittadini che il bene comune non si identifica con quello di alcuni gruppi e che l’esercizio del potere non è strumentale per realizzare l’interesse di determinate categorie sociali o politiche.
E’ quindi inutile ricercare, da una semplice rielaborazione della legge elettorale, il rimedio ai mali della nostra democrazia, perché talune cause sono inerenti alla democrazia stessa, ai suoi fondamenti, alla sua essenza.
La democrazia non è una declamazione di principi o la semplice libertà di voto, bensì un comportamento, un impegno. La più grave degenerazione è il rilassamento degli ideali, senza i quali la politica diventa una lotta di interessi, di individui, di gruppi.
Ho sentito il discorso del presidente Mattarella alle Camere e ho avuto la sensazione che lo Stato di diritto, venuto meno nel 1993, possa essere finalmente recuperato.