Non c'è nulla di scandaloso nello scontro, certo viperino, tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. E fa sorridere vedere come il partito di Grillo non lo si riesca proprio a digerire. Quando il M5Stelle è nato ci siamo tutti straniti, anche noi studiosi, per la natura plebiscitaria e tardo-stalinista di un movimento in cui chi dissentiva veniva sbattuto fuori dalla porta con una certa soddisfatta cattiveria dei leader e con il biasimo corale sputato sugli eretici da parte degli haters-followers sui social. Ci siamo meravigliati di fronte all'esilio dei Pizzarotti, delle Salsi e dei Fava, colpevoli di aver alzato la voce o addirittura di aver varcato la soglia di uno studio televisivo, a cui nel giro di una email veniva recapitato un bel "Sei Fuori!". Il movimento carismatico-totalitario, che faceva della venerazione del comico-guru il proprio credo, senza possibilità di svirgolare, non andava bene; oggi che quel movimento è diventato a tutti gli effetti un partito in cui si discute, si litiga e convivono due linee politiche e una parvenza di minoranza interna non va bene comunque.
Certo le contraddizioni macinate dal grillismo, le giravolte, i salti mortali sono stati tanti e molto più veloci che in altri partiti, le fluttuazioni degli elettori ancora di più. Ma questa è la fase 3 di evoluzione di una forza politica che ha attraversato vari stadi e che ora si trova di fronte al bivio più importante della propria storia. Possiamo dire nascita, crescita e istituzionalizzazione. E ha ragione Beppe, oggi balzato dalla parte di Conte dopo l'Accordo della spigola, quando invita a passare dalla giovinezza alla maturità.
Le origini. La nascita dei 5 Stelle non ha avuto eguali in Europa. Un movimento populista e anti-establishment nato nelle piazze e sul web e sull'idea di democrazia orizzontale. Un partito gatekeeper che ha aperto i cancelli agli esclusi della politica che si sono riversati come la lava di un vulcano dentro all'unico contenitore, che non era entrato nel governo Monti, che poteva guadare a destra e a sinistra, e che prometteva a chiunque, proprio a chiunque se vedi chi c'è ora a Roma, di entrare nelle istituzioni. Mentre i partiti tradizionali dimagrivano di taglia a colpi di autoreferenzialità e di politici vecchi fuori e soprattutto dentro, tra i grillini si respirava partecipazione, cose come acqua pubblica, economia circolare, connettività e l'entusiasmo accecante dell'o-ne-stà. La webdemocrazia trainò il primo voto generazionale nel nostro paese, nel 2013 la gran parte dei giovani votò per la prima volta in grandi numeri per Grillo e per i ragazzi sconosciuti con la faccia da geometra del piano di sopra. Ed è stato 25% nelle urne.
Crescita. L'ingresso nelle istituzioni cambia in maniera strutturale qualsiasi forza politica. Se si parte dall'opposizione le cose paiono più facili. Ma bisogna fare compromessi, negoziare, trasformarsi. Al pianeta Gaia si sostituiscono i rebus della legge di bilancio, ai meetup le sonnacchiose riunioni delle commissioni parlamentari, ai clic compulsivi da smanettoni i grovigli dell'iter legislativo.
Istituzionalizzazione. Quando si va al governo e si devono fare scelte, risolvere problemi, diventa ancora più difficili mantenere la coerenza e la rigida ortodossia delle origini. La divisione tra governisti e nostalgici delle urla da combattimento del passato si acuisce. Il reddito di cittadinanza si fa, ma non abolisce di certo la povertà, la spazza corrotti si approva ma non cancella il malaffare, il bonus 110 c'è, ma bisogna poi digerire la riforma della giustizia, il sì Tav, sì Tap e per un puro caso si scampa il sì Mes. Oggi siamo alla resa dei conti. La leadership di Conte pare maggioritaria (il sondaggio di SWG di ieri accredita a Conte il 75% degli attivisti e solo il 10% a Di Maio), ma Di Maio aspira a tornare in sella. Sullo sfondo, la questione del terzo mandato, l'alleanza organica oppure fluida (cioè da decidere ex post) con il Pd, il controllo dei gruppi parlamentari.
Certo l'ambiguità, l'incertezza, la confusione di norme scritte da un avvocato civilista e sospese da un tribunale, un garante troppo Elevato da farsi vedere poco in Terra, l'assenza di un chiaro distinguo rispetto al Pd non aiutano a capire quale sia la direzione futura dei 5 Stelle e generano inevitabili cali di consenso. Né aiutano gli abboccamenti di Conte a Di Battista (Dibba??), due che proprio non ci azzeccano insieme.