di Paolo Pillitteri
Il partito-Movimento che voleva distruggere i partiti sta riuscendo a demolire solo se stesso nel continuo e maldestro tentativo di imitarli. Chi scrive così e in questi giorni, dopo che l'avvocato Giuseppe Conte è stato travolto dalle carte bollate, non può non ricorrere alla Dea Nemesi, figlia dell'oceano e della notte che continua implacabile a perseguitare il Movimento Cinque Stelle.
Eppure c'è qualcosa, un di più (o un di meno) che si nota dentro una storia che sarebbe fin troppo semplice catalogare fra il déjà vu, un già letto fra le tante che compongono l'affresco storico della politica. Esiste, come dire, una legge della compensazione, una sorta di logica dell'eterno ritorno che viene prima di tutte e che riguarda chi ha osato e osa infrangere un percorso che ci si è dati, fronteggiando quell'impossibile umano che è, dunque, una sfida alla legge eterna che regola, certificandolo, il ruolo dell'uomo e quindi dei partiti nei riguardi degli altri ovvero erga omnes.
C'è insomma un confine, una linea, un limite invalicabile che soltanto l'arroganza e la prepotenza vogliono oltrepassare nella certezza di essere immuni dalla debolezza di ciascuno, ovvero dalla convinzione più intima che quel confine è, innanzitutto, la presa d'atto di una condizione comune, di un destino di tutti e di tutti i movimenti o partiti che quell'arroganza si proponevano di annientare già nella convinzione urlata che, comunque, fossero già morti. O meglio, che fossero nati morti. Il che rendeva simile a una missionel'indispensabilità di una loro sepoltura in una fossa comune, con targhe di insulti e di volgarità tipiche di chi non ha una storia e che dalla storia non ha imparato nulla.
La nemesi si diceva. Essa è visibile persino in gesti e atti che un Conte, per dire del segretario pentastellato imitatore di Beppe Grillo e della conclamata leggenda della democrazia diretta, ha sempre usato senza un minimo (o un massimo) di verifiche in organismi e loro funzioni che ogni partito ha o dovrebbe avere addirittura nel proprio Dna. Ma è appunto questa assenza, peraltro comune a tanti partiti, che ha prodotto l'inevitabile, con conseguenze a salire fino al tribunale (luogo tanto frequentato professionalmente dallo stesso Conte) che ha lo ha colpito e azzerato, con una impressionante sentenza in nome della legge che è uguale per tutti. Perché impressionante? Perché ancora una volta la magistratura entra a piedi uniti e scarpe ferrate, in un terreno che non è il suo, per decidere chi deve essere il segretario di un partito. Una clamorosa invasione di campo che proprio i grillini hanno invocato e osannato per anni e che ora si è ritorta contro. I nostri vecchi, che ne avevano viste di tutti i colori, ci ricordavano fra il serio e il faceto l'eterna massima del "tanto va gatta al lardo che ci lascia lo zampino", un proverbio che calza bene oggi ma che non ci riempie di soddisfazione nella sua logica, adesso, applicata a un grillismo che non abbiamo mai amato, anzi. È la logica perversa, usata e abusata in oltre un trentennio da una magistratura che ha letteralmente disfatto la Prima Repubblica e che non ha mai smesso di interferire, vedi il caso di Silvio Berlusconi e non solo, in faccende che non sono le sue, determinando un drammatico sbilanciamento di poteri che il caso Conte, da buon ultimo, sta segnalando. Ma proprio con l'impudenza o la faccia di bronzo di chi ha giocato e vinto tante partite proprio in suo nome e, quindi, nella sua degenerazione totalitaria.
Una lezione, si vorrebbe dire. Ma non tanto o non solo per il contismo-grillismo in crisi irreversibile, quanto per la politica nel suo complesso che vive sotto la spada di Damocle e nella logica antipolitica di una lunghissima transizione, che aveva avuto una sorta di minacciata prova del fuoco da coloro che volevano un Parlamento da aprire come una scatoletta di tonno e che ora, in quella scatoletta, si sono infilati. Quando si dice la nemesi.