Venuti meno il Great game Quirinalizio e l'angoscia da Covid, ognuno è tornato al naturale, alla banalità di un quotidiano che si nutre di autoreferenzialità, in un sistema politico – in attesa del prossimo dato sull'astensione – che non rappresenta più il paese, perché non si colloca all'altezza della sfida. È terremotata la destra, che si sollazza tra un "non vaccinerò mia figlia" dell'una, seguita dal "non vaccinerò i miei figli" dell'altro, con tanto di dati bislacchi sui numeri dei colpi di fulmine che farebbero più vittime del Covid. È terremotato il centro, tra il rinvio a giudizio di Renzi su Open e i piccoli cabotaggi di generalini senza esercito alla ricerca di un'alleanza estemporanea per raccattare un collegio sicuro. È terremotato quel che resta dei Cinque stelle, sommersi dalle carte bollate su un non statuto che ha travolto un non leader bocciato anche in tribunale, dopo aver perso la causa politica. Ed è terremotato pure l'orizzonte strategico del Pd, il partito più pensoso che, nel riproporre l'Ulivo di trent'anni fa, non ha capito a chi ha dato la generosa patente di progressismo. E non può fare altro che "non fare nomi", tattica che ha funzionato per rieleggere il presidente della Repubblica, ma assai più complicata per parlare a un paese da ricostruire.
È il contrappasso immediato di una politica costretta ad aggrapparsi a Mattarella, per ragioni che il minuto successivo rende più evidenti del minuto prima. Ma se l'unica cosa che c'è è, appunto, è la delega, a Draghi e Mattarella, la sua solidità non è data per sempre, in un tornante nazionale e internazionale segnato da quell'urgenza della realtà segnalata dal rincaro delle materie prime e dall'inflazione in cui la Bce non esclude l'aumento dei tassi di interesse, stretta impegnativa per un paese ad alto debito, impegnato nella fase più delicata del Recovery. Proprio l'ultimo report di Goldman Sachs è più severo con l'Italia, per queste ragioni di contesto, il che significa che, anche lo scudo di Draghi, garanzia di affidabilità sui mercati, non è certo venuto meno, ma la possibile risalita dello spread a 175 punti base prima della riunione della Bce di marzo indica che, a certe condizioni, potrebbe non bastare da solo con una politica monetaria più restrittiva dovuta all'aumento dei tassi e alla riduzione dell'acquisto dei titoli di Stato.
Servono cioè riforme e politiche, barra dritta anche col terremoto attorno che, nell'euforia collettiva, ha dato per acquisito un spendi e spandi tutt'altro che scontato. Il trionfo della banalità da un lato, la tenuta dell'asse istituzionale dell'altro sono gli estremi dell'elastico alla prova dell'anno elettorale, comizio permanete per le proprie constituency di riferimento. Non è impresa facile per Draghi che ha un'emergenza oggettiva da affrontare, il collasso politico su cui navigare e parafrasando Woody Allen, nemmeno lui si sente tanto bene nel senso che, dopo il travaglio quirinalizio, per uscire più forte tutto deve fare tranne negare le vecchie e nuove difficoltà.