Nell'appassionante volume edito dalla casa editrice Magmata di Alfonso Gargano, la sua vita avventurosa, iniziata nella seconda metà del III secolo ad Alessandria d'Egitto, dove c'era una celebre scuola di Medicina, ch'era stata frequentata anche da Galeno. Ciro eccelleva in bravura e curava gratuitamente gli indigenti, tanto da guadagnarsi l'appellativo di anàrgiro (dal greco: senza denaro). L'imperatore Diocleziano avviò una feroce persecuzione contro i cristiani e anche contro i medici, considerati al pari di maghi e stregoni, quindi pericolosi. Ciro si trasferì in Arabia. Rientrato ad Alessandria, fu decapitato il 31 gennaio del 303.
Di Pietro Gargano*
All'antivigilia di Natale del 2020 avvertii come un pugno alla schiena, leggero ma incessante. Pensai a un banale dolore intercostale e me lo tenni addosso per tre giorni. Finalmente mi decisi a chiamare il medico. Venne e l'elettrocardiogramma rivelò un infarto in corso. Mi affidai a San Ciro Medico no- stro. Corsa in ambulanza, ricovero alla Clinica Mediterranea, angioplastica d'urgenza nella notte, una settimana in rianimazione, un'altra in reparto e tornai a casa. D'istinto, mi misi subito a ritoccare gli appunti di lavoro che, da porticese purosangue, da tempo dedicavo a San Ciro. A fine agosto del 2021 nuovo pugno dalle parti del cuore. I sudori freddi mi spinsero a chiamare il 118. Altro ricorso a San Ciro, altra ambulanza, corsa al Cardarelli, altra angioplastica, sette giorni in terapia intensiva, sette in reparto. M'hanno "spilato" i tappi, tranne un trombo cocciuto. Sto in terapia per scioglierlo, per fortuna s'è indurito e dovrebbe essere meno pericoloso. Ho rimesso mano al lavoro su San Ciro, dedicandogli l'unica cosa che so fare: scrivere. Vita, martirio, miracoli, luoghi di culto, leggende. Ed ecco il libro. Lo considero un ex-voto speciale, da mettere accanto ai pezzi di anatomia in argento e ai quadretti naif offerti da devoti grati al Santo che ha protetto non solo Portici nell'ultima pandemia.
Vi dono il mio ambulatorio
Sulla riva del Nilo era passato l'evangelista Marco, irrorandola di sangue, seminando fede, fondando chiese. In realtà il cristianesimo era arrivato prima di lui. Qui sorse la Scuola cristiana di Pantene, Clemente e Origene: la prima dopo Roma. Qui fu decollata Santa Caterina, studentessa. Ma il popolino adorava gli animali, erano diffuse scienze occulte, divinazione, lussuria sfrenata.
Nessuno conosce i genitori di Ciro. E' probabile che fossero cristiani, che occuparono le catacombe di Karmuze di Quabbari, che portavano la pergamena del Vangelo sul petto come Santa Lucia e con lei, come Santa Barbara, si fecero seppellire. E' probabile che fossero benestanti, lo dimostra una proprietà lasciata a Ciro. Forse erano commercianti.
Più sicura appare l'origine del nome. Per gli ebrei, il liberatore annunciato da Isaia fu Ciro il Grande, il condottiero persiano che conquistò Babilonia e consentì al popolo di Davide di tornare in patria. Fra i cristiani quel nome - significa forte, potente - diventò diffuso. Un nome nobile e guerriero: si può essere pacifici combattenti del proprio credo.
Ciro aprì ad Alessandria, nel quartiere di Doryzim, un ambula- torio gratuito con laboratorio per preparare i rimedi. Forse era copto anche di lingua, veniva dalla razza contadina dei fellah, abituati alla durezza, alla laboriosità e alla frugalità. I fellah erano quasi tutti di robusta costituzione, nonostante i lunghi stenti della stirpe. Ed ecco che la figura di Ciro assume un significato di immagine della salute. L'essere vissuto in una grande città dava spessore all'inclinazione degli Egiziani per sapienza, sagacia, prontezza di spirito, intensità di memoria. Queste doti permisero di custodire un patrimonio di civiltà.
Ciro era un medico anargiro, ossia senza danaro: curava gratis. Ce lo dice, tra i primi, San Sofronio medico di Damasco, ul- timo patriarca di Gerusalemme. Strenuo rivale dell'eresia dei monoteliti, fuggì dalla Palestina ad Alessandria dopo l'assalto dei Saraceni. Era afflitto da una malattia agli occhi, aggravata da notti insonni sui libri, quando sognò Ciro vestito da eremita e si risvegliò risanato. Per sciogliere un voto raccontò quell'esperienza.
Sofronio entrò nei particolari: "Quando visitava gli infermi, mettendo da parte i precetti di Galeno, d'Ippocrate, e di altri autori consimili, prendeva mille sentimenti dei Profeti, e dei Padri, e li univa presto in maniera divina. Chiamava gli am- malati dolcemente al dovere, verso i loro corpi, verso le loro anime".
Viviamo per la salute universale, questo fu il credo di Ciro: "Se non volete credere a me, credete almeno alle mie opere". Il tracoma, morbo diffusissimo, sanato con pomate e preghiere; le ferite cicatrizzate; le pene lenite gli diedero affetto e riconoscenza, alimentando la crescita della sua religione. Dietro alla scelta della medicina - praticata al termine di studi arricchiti da filosofia e teologia - c'era soprattutto la fede. Erano gli albori del cristianesimo, ma il credo cominciava a diffondersi nelle città, penetrando perfino nei luoghi del potere. Chi era stato il- luminato da Cristo era pronto ad affrontare sacrifici e pericoli. E adoperava virtù e conoscenza per diffondere il vero Verbo.
In Ciro la cura dello spirito e del corpo si saldava in un pro- getto virtuoso. Scrisse un anonimo greco: "Medico assai famoso, a nessuno secondo e utilissimo a tutti, insegnava che le infermità dell'anima sono le più gravi, ma di più nocciono al corpo, perché in questo generano le malattie più pericolose". Padre Alessandro Sarrubbo, lettore in teologia, aggiunse che "addivenuto medico il nostro santo, non saprei dire con quanto ardore, con quali sollecitudini, con quali amorevolezze pre- stasse i rimedi dell'arte sua a sollievo e salute de' poverelli. Eguali cure prodigava all'indigenza che all'opulenza, e sovente i morbi più crudeli e disperati erano vinti da lui più colla preghiera che co' farmaci".
Ciro vedeva nella malattia un castigo divino, perciò si preoc- cupò di risanare l'anima prima del corpo: la salute spirituale come premessa della guarigione fisica. Convertì miscredenti, esortò dubbiosi alla virtù, fortificò nel bene. Era un un apostolo che si servì della medicina - delle erbe, degli impiastri, della conoscenza dell'anatomia - per potenziare il suo apostolato. L'amore lo indusse a distribuire tutte le sue sostanze ai miseri, perseguendo la ricca povertà del Vangelo: "Va', vendi tutto ciò che hai, poi vieni e seguimi". Si denudò per seguire il Cristo nudo, per imitare Colui "che non aveva dove posare il capo", come disse San Girolamo. Non volle neppure la casa pater- na e la regalò al vescovo Apollinare perché la trasformasse in tempio destinato a onorare i tre fanciulli gettati nelle fornaci di Babilonia.
Sofronio è ricco di particolari sul prodigo gesto del Santo.
Nel suo racconto, Apollinare aveva fondato un ospedale per anziani presso Doryzim. Accanto costruì un tempio affinché gli infermi trovassero conforto di preghiere. Acquistò un bas- so edificio contiguo sia al sanatorio sia al gabinetto medico di Ciro. Il palazzotto era però troppo angusto per trasformarsi in una chiesa degna di tanta cristiana missione. Allora Ciro donò tutta la sua proprietà. Sull'area sorse la solenne navata del tempio. L'ambulatorio diventò santuario per le reliquie dei fanciulli babilonesi.
La vicenda è narrata dal profeta Daniele. I fratelli giovinetti Abdenago, Misac e Sidrach - noti anche come Anania, Misaele e Azaria - erano governatori di Babilonia quando si rifiutarono di adorare un idolo pagano. Gettati in una fornace, per prodi- gio sopravvissero. I loro resti furono spostati da Babilonia a Costantinopoli. Nel 1156 il trasferimento nell' abbazia di Mon- tevergine, dove tuttora sono esposti in tre reliquari diversi. Il 16 dicembre la festa in loro onore.
Torniamo al filo della vita del nostro Santo. Risanando infer- mità gravissime, peregrinando fra tuguri e palazzi nobiliari, tra piaghe infette e dolorosi sudori, Ciro diventò famoso. E gli emissari del potere imperiale di Diocleziano, dopo qualche dubbio, non gradirono.
Fine Capitolo Secondo
(Continua)