Essere pendolari è già un disagio in sé, ma in Italia può trasformarsi in una vita da inferno. Tutto a causa della situazione disastrosa in cui si trova il sistema dei trasporti ferroviari in Italia. Situazione che è stata aggravata dalle limitazioni imposte dalla pandemia del Covid-19 con disagi dovuti al sovraffollamento dei treni e ai tagli al servizio per la malattia del personale. È quanto emerge dal rapporto Pendolaria 2022 di Legambiente. In generale, nel 2021, i passeggeri in circolazione si sono ridotti su tutti i treni, dell’alta velocità e Intercity (fino a -40%), a quelli regionali (-45%). Tanti i disagi che hanno vissuto i pendolari e gli studenti, per autobus e treni sovraffollati, in particolare sulle linee che da anni sono le peggiori d’Italia.
La maglia nera spetta ancora una volta alla Circumvesuviana che unisce Napoli a Sorrento. A seguire si trovano tratte come la Roma-Lido, Roma-Viterbo e alcune tratte lombarde. Ma sono le città il cuore dei problemi della mobilità in Italia per i ritardi di infrastrutture rispetto agli altri Paesi europei, che si sono ampliati in questi anni. In Italia ci sono 248 km di metro, meno della città di Madrid (291 km). Nel 2019 e 2020, in Italia, non è stato inaugurato neanche un tratto di linee metropolitane e nel 2021 soli 1,7 km. Negli ultimi quattro anni abbiamo viaggiato a un ritmo di meno di 600 metri all’anno di nuove metro, lontanissimo da quanto avremmo bisogno per recuperare i problemi.
Per le tranvie nessun chilometro è stato inaugurato nel 2020 e 2021, mentre 5 km erano stati inaugurati nel 2019 e 5,5 nel 2018. Negli ultimi vent’anni il nostro Paese ha continuato a investire invece in strade e autostrade, intercettando dal 2002 al 2019 il 60% degli investimenti. Emblematici i dati del Conto nazionale trasporti per gli interventi realizzati dal 2010 al 2019: 309 km di autostrade, 2.449 km di strade nazionali, a fronte di 91,1 chilometri di metropolitane e 63,4 km di tram. È la solita piaga del trasporto su gomma, inquinante, costoso, pericoloso, e però da sempre privilegiato dai governi italiani rispetto al trasporto su rotaia, per la gioia dei produttori di auto e camion.
A differenza delle città europee, poi, poche le piste ciclabili realizzate durante la pandemia, che potevano rappresentare un’importante alternativa per gli spostamenti, se integrate con il trasporto pubblico locale. Negli ultimi dieci anni, inoltre, le già forti differenze tra le aree del Paese per la ineguale qualità del servizio si sono addirittura ampliate, con buona pace della retorica meridionalista di tanti politici del Sud. È proprio il Sud, invece, secondo il rapporto di Legambiente, a soffrire i ritardi maggiori in termini di possibilità di spostamento nazionali e regionali, con meno treni, più lenti e vecchi. In Sardegna le linee continuano a non essere elettrificate e non sono previsti investimenti, se non sull’idrogeno.
Dal 2009 gli spostamenti nazionali in treno sono aumentati complessivamente di 46mila passeggeri al giorno, ma con grandi differenze. Quelli sull’alta velocità sono cresciuti del 114%, mentre quelli sugli Intercity sono diminuiti del 47%, perché, se l’offerta dei primi è cresciuta, quella dei secondi si è ridotta. Per cui i territori fuori dalle tratte veloci, vale a dire soprattutto al Sud, hanno visto ridurre le possibilità di spostamento. Anche tra le regioni sono aumentate le differenze. In alcune si registra addirittura un calo, come la Campania (-43,9%), che aveva toccato il picco di 467.000 viaggi nel 2011 ed è scesa a circa 262.000 nel 2019, il Molise (-11%, con al momento solo due coppie di treni al giorno sulla Termoli-Campobasso), l’Abruzzo (-19%), la Calabria (quasi -25%) e la Basilicata con un calo del 35%. Mentre sono aumentati i numeri di viaggi su rotaia in Lombardia, Alto Adige, Puglia, Toscana.
Il motivo è che, dopo i tagli nei trasferimenti delle risorse dallo Stato alle regioni per il servizio di trasporto, in alcune regioni si è deciso di investire per non ridurre il servizio, mentre in altre è stato ridotto e gli investimenti rinviati. Ma c'è anche il bicchiere mezzo pieno. Secondo Legambiente, infatti, una svolta potrebbe arrivare con i soldi del Pnrr. La missione 3 del Piano di resilienza, denominata “Infrastrutture per una mobilità sostenibili”, prevede 26 miliardi di euro per il trasporto ferroviario, con interventi da realizzare entro il 2026. Complessivamente sono in cantiere o finanziati 797 chilometri di nuove linee ad alta velocità, interventi di potenziamento di collegamenti trasversali, senza dimenticare l’elettrificazione della rete e l’installazione di sistemi di controllo della sicurezza su 1.635 km, che porterà la percentuale di elettrificazione in Italia dal 69,5 al 77,8%.
Per lo “Sviluppo di sistemi di trasporto rapido di massa”, infine, nelle aree urbane, tra Pnrr e risorse statali, sono in cantiere o finanziati 116,5 chilometri di metro tra nuove e riconversioni (a Roma, Milano, Torino, Genova, Napoli, Catania), 235,7 di tranvie (a Milano, Bergamo, Brescia, Padova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Palermo, Cagliari e Sassari), 102,9 di filobus e busvie (tra quelle finanziate al 100%). Inoltre, sono previste risorse per le linee regionali, per il rinnovo dei treni Intercity e per l’acquisto di treni a idrogeno, anche se non vi è alcuna garanzia che sia utilizzato idrogeno prodotto da fonti rinnovabili e il rischio di rappresentare uno spreco di risorse pubbliche è molto alto.