Nelle cinquecentesche sale del museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma anche il passaggio del tram o quello delle auto sulla grande strada adiacente può far tremare le vetrine con tutto il loro tesoro di bronzi, gioielli e soprattutto di millenarie ceramiche dipinte, con l'ovvia conseguenza di una serie di continue sollecitazioni che in qualche modo mettono a rischio i capolavori del museo.
Anche da queste considerazioni, racconta oggi il direttore Valentino Nizzo, è nato un progetto che punta a mettere in sicurezza innanzitutto il celeberrimo Sarcofago degli sposi, l'opera più celebre dell'arte etrusca, capolavoro icona che del museo romano è il pezzo più famoso e identitario. Intitolato MonaLisa e presentato non a caso nel giorno di San Valentino, il piano per mettere in sicurezza gli sposi più conosciuti dell'antichità, sottolinea il direttore, è il frutto di un lavoro d'equipe che ha coinvolto, insieme allo staff del museo, le Università di Sapienza e Roma Tre, Enea e la ditta Somma specializzata nella costruzione di pedane antisismiche.
Vincitore di un bando della Regione Lazio e di Lazio Innova, il progetto è ora nella fase iniziale, ma entro qualche mese assicurerà alla fragilissima opera, ritrovata in pezzi a fine Ottocento, una pedana antisismica d'avanguardia "che la isolerà sia rispetto alle vibrazioni del terreno prodotte da passaggio dei veicoli sia da quelle prodotte dalla natura" come i terremoti , dai quali purtroppo la capitale non è indenne. "Così saremo certi che i nostri sposi, che hanno continuato ad abbracciarsi per millenni potranno continuare a farlo anche per le generazioni future", assicura il direttore. Il tutto, anticipa, "di pari passo con un altro importante progetto di studio e di restauro in collaborazione con l'Istituto centrale per il restauro".
Protetto già da alcuni anni da una teca di cristallo, dopo che un urto accidentale provocò la rottura di un dito, il sarcofago degli Sposi è il frutto di una scoperta di epoca risorgimentale, un tempo nel quale gli scavi archeologici potevano ancora essere portati avanti da singoli privati. A trovarlo, nella necropoli della Banditaccia a Cerveteri in quella che era allora la tenuta del principe Ruspoli, furono i fratelli Boccanera. Era il 9 aprile del 1881, il sarcofago, realizzato in argilla e risalente al VI secolo a. C., si presentava come un cumulo di frammenti, oltre 400 contarono poi i restauratori. La sua acquisizione si deve a Felice Barnabei, l'archeologo che fu il fondatore e anche il primo direttore dell'etrusco.
Chiamato in causa come autorità competente dagli scopritori per dividere la proprietà dei ritrovamenti tra i Boccanera e il principe Ruspoli, Barnabei, che aveva nella memoria un altro sarcofago con gli sposi (quello che oggi è conservato al Louvre) capì di avere davanti a sé un capolavoro e fece di tutto per assicurarne la proprietà al museo etrusco, che nel frattempo era stato fondato a Roma. La sua battaglia, raccontano oggi gli archeologi di Villa Giulia, durò 12 anni, ma alla fine riuscì ad assicurare lo scopo prefissato.