Gente d'Italia

A dieci anni dalla scomparsa la riscoperta di Vincenzo Consolo

Mondadori (Depositphotos)

DI MARCO FERRARI

A dieci anni dalla scomparsa c'è un grande rimpianto per lo scrittore Vincenzo Consolo (Sant'Agata di Militello, 18 febbraio 1933 – Milano, 21 gennaio 2012), al quale Mondadori ha dedicato uno dei suoi Meridiani con le intere opere e ristampato il suo capolavoro "Retablo". Inoltre, "Il sorriso amaro di Vincenzo Consolo, dieci anni dopo" è il titolo del video realizzato dalla "Strada degli scrittori" per rendere omaggio all'autore siciliano di cui è stato ritrovato un video inedito realizzato a Racalmuto nel 2005 con Leonardo Sciascia.

Iniziative sono state organizzate anche dall'associazione "Amici di Vincenzo Consolo", animatrice della Casa Letteraria di Sant'Agata di Militello, il paese natale del letterato. Vincenzo Consolo è l'ultimo della triade di scrittori siciliani, con Gesualdo Bufalino e Leonardo Sciascia, entrati a far parte del pantheon della letteratura europea del Novecento, considerati tutti "figli" di Giovanni Verga. Non a caso nel volume "L'olivo e l'olivastro", pubblicato nel 1994, Consolo dedicava ben tre capitoli all'autore de "I Malavoglia" e di "Mastro don Gesualdo", suggestionato dal difficile ritorno in Sicilia dello scrittore emigrato, dalla visita nella casa natale di Verga e dalla rievocazione delle celebrazioni a lui dedicate nel 1920, che videro giungere appositamente a Catania Luigi Pirandello, due anni prima della scomparsa.

Vincenzo Consolo è, al pari di tanti maestri siciliani come il compianto Camilleri, un giocoliere di parole. Non a caso, in questo decennio trascorso dalla sua morte, i libri da lui pubblicati non hanno perso smalto grazie al lessico ricercato e ricchissimo, che testimonia una consapevolezza gaddiana del primato del linguaggio e che ingloba in un originale impasto linguistico l'italiano ottocentesco (compreso quello burocratico), termini dialettali, forme arcaiche, preziosismi, prestiti da lingue straniere. Consolo si discosta dagli scrittori della generazione precedente alla sua – primo fra tutti l'amato Sciascia – per un apparente minor controllo del materiale e una maggiore visceralità. Il distacco illuministico lascia il posto a un coinvolgimento emotivo difficile da dissimulare, rafforzato da una maggiore ansia espressiva e da una costante attenzione agli aspetti ritmici e prosodici, essenzialmente poetici, dell'andamento narrativo. A Consolo, giudicato da Cesare Segre "maggiore scrittore italiano della sua generazione", non sono certo mancati in vita i riconoscimenti, dal Grinzane Cavour allo Strega, ma la sua ricerca, letteraria, sociopolitica, perfino antropologica, si è svolta su un piano che questi riconoscimenti ignorava e trascendeva.

 I romanzi da lui pubblicati sono diversi fra loro, ma soprattutto diversi da qualunque canone si possa immaginare. Dal libro d'esordio "La ferita dell'aprile" del 1963, passando per "Il sorriso dell'ignoto marinaio" del 1976 agli ultimi, "Lo Spasimo di Palermo" e "Di qua dal faro", lo scrittore siciliano scardina le convenzioni romanzesche, introducendo documenti originali e fittizi, diari, memorie storiche, lettere di notabili e trattati di malacologia, come a voler sottolineare come quelle stesse convenzioni cui il romanzo si attiene non siano più in grado di dar conto di una realtà sfaccettata e multidimensionale e debbano essere annullate e aperte dal loro interno.

Nel libro "Il sorriso dell'ignoto marinaio" la vicenda del Barone di Mandralisca prelude a quella sparizione del mondo contadino denunciata negli stessi anni anche da Pasolini e all'illusione di poter trovare un modello di sviluppo accettabile nell'industrializzazione forzata, in quelli che Consolo chiamerà i "pozzi mefitici di Augusta, di Priolo, di Gela". Questo tipo di sviluppo, che non corrisponde ad alcun progresso, è al centro dell'opera di Consolo, anche se fa trasparire qualche flebile speranza. Seguirà nel 1992 "Nottetempo, casa per casa", romanzo storico pervaso da una forte cupezza.

Nel mettere in scena, in "Nottetempo", un personaggio alquanto incongruo nella Sicilia degli anni Venti qual è il mago inglese Aleister Crowley, Consolo ne fa un simbolo di quel decadentismo europeo che avrebbe portato alle aberrazioni delle due guerre mondiali. Crowley, cultore di riti esoterici, dandy, santone, provocatore, sempre accompagnato da donne straniere, alte, bionde e seminude, occupa quasi militarmente, con la prepotenza della follia, un mondo ancora contadino e arcaico, contribuendo all'accelerazione di un processo di disgregazione familiare e sociale forse già in corso, ma che l'irruzione inopinata del moderno complica ulteriormente. Insomma, un autore che ha mantenuto con la sua Sicilia un rapporto ambivalente, da un lato la ricerca di radici perdute, dall'altro la consapevolezza di una trasformazione antropologica quasi sempre in negativo. Infine, Consolo con "Lo Spasimo di Palermo" ebbe una forte reazione indignata alle stragi che provocarono l'assassinio di Falcone e Borsellino e la capitolazione dello Stato di fonte alle mafie. Forse l'unico libro in cui Consolo lavora sul contemporaneo, anche in questo caso con un certo scetticismo.

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