Dopo quello sull'eutanasia, la Corte costituzionale, ieri, ha dichiarato inammissibili anche i referendum sulla responsabilità diretta dei magistrati e quello sulla depenalizzazione della coltivazione della cannabis. In materia di giustizia, però, la Consulta ha acceso “semaforo verde” per i quesiti che riguardano l'abrogazione delle norme in tema di incandidabilità (legge Severino), la limitazione delle misure cautelari, la separazione delle carriere in magistratura, l'eliminazione delle liste di presentatori per l'elezione dei togati del Csm e la partecipazione degli avvocati ai Consigli giudiziari.
Tali quesiti (sui quali gli italiani saranno chiamati ad esprimersi in una data compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno prossimi), è stato spiegato in una nota, "sono stati ritenuti ammissibili perché le rispettive richieste non rientrano in alcuna delle ipotesi per le quali l'ordinamento costituzionale esclude il ricorso all'istituto referendario". Intervenendo in conferenza stampa, il presidente della Consulta, Giuliano Amato, è stato ancora più chiaro spiegando le motivazioni poste alla base della bocciatura di alcuni tra i più attesi referendum, sottolineando le difficoltà nel modo in cui sono stati scritti, che avrebbero, a suo giudizio, “aperto a molte più questioni rispetto a quelle su cui si proponevano di intervenire”.
“Se il quesito è diviso in tre sotto quesiti, io non posso toccare questo treno: se il primo vagone deraglia, si porta dietro gli altri due" ha commentato l’ex premier a proposito del referendum sulla cannabis. Per quanto concerne, invece, le decisioni prese: “non tutti i giudici hanno avuto orientamento unanime”. Infine, sulla responsabilità delle toghe, "sarebbe stato un referendum innovativo più che abrogativo" ha sottolineato il presidente della Consulta.