di Juan Raso
Ho reincontrato un collega italo-brasiliano che vive a Caxias do Sul e abbiamo naturalmente ricordato il passato, come succede alla nostra età. Lo conobbi a Caxias circa quindici anni fa (o venti?). Ero nel Rio Grande do Sul per incontri della RAI con le comunità italiane, in gran parte di provenienza veneta. Una sera fummo invitati ad una cena organizzata dalle istituzioni locali: erano almeno 600 le persone sedute ai tavoli. Mai avevo visto una riunione di italiani così grande in Uruguay. Ad un certo punto si fece silenzio, tutti si alzarono e cominciarono a cantare il loro inno, l'inno degli Italiani nel Rio Grande do Sul: "Mérica, Mérica" (contrazione di America, America), pare scritto nel 1875.
Ancora oggi ricordo con emozione quel momento, quando le voci si sciolsero con dolore ed orgoglio nelle strofe del canto: "Dall'Italia noi siamo partiti. Siamo partiti col nostro onore. Trentasei giorni di macchina a vapore e nella Merica noi siamo arrivati". Il tono delle voci divenne duro, quasi arrabbiato: "Non abbiam trovato né paglia e né fieno, Abbiam dormito sul nudo terreno e come le bestie andiam riposar".
Con i bicchieri alzati, rivivo la forza delle strofe finali: "E la Merica l'è lunga e l'è larga, l'è circondata dai monti e dai piani, e con la industria dei nostri italiani abbiam formato paesi e città. Merica, Merica, Merica!".
Non ho dimenticato quelle strofe, anche dopo tanti anni, che esprimevano dolore e orgoglio sull'emigrazione in Brasile. Francesco Saverio Alessio, impegnato a riscattare la memoria storica dell' emigrazione italiana nel paese, racconta che nel 1871 una legge, detta del "Ventre Libero", sancì l'inizio della fine della schiavitù. Da quel momento i figli di donne schiave sarebbero stati liberi e quindi la politica di Stato cercò sostituire la schiavitù abolita con manodopera degli emigranti italiani: in quanto bianco e cattolico l'immigrato italiano pareva logico che fosse trattato diversamente dagli schiavi di colore, ma la qualità della vita era di poco superiore. Non solo le condizioni di lavoro erano difficili, ma la mentalità schiavista di molti proprietari terrieri faceva poca differenza tra gli antichi schiavi e gli attuali emigranti.
Si innestavano in questa realtà, agenzie di collocamento di emigranti, che contribuivano al loro sfruttamento senza limiti. Gli agenti si incaricavano di anticipare l'importo delle spese di viaggio. Il fenomeno degenerò in veri abusi: i lavoratori così importati erano trattati come i precedenti schiavi, con giornate di lavoro lunghe, alloggi precari e alimentazione scarsa, mentre i magri salari servivano a pagare i prestiti delle agenzie.
Per evitare tali fenomeni di sfruttamento, si approvò in Italia il Decreto Prinetti, provvedimento preso nel 1902 su iniziativa del ministro degli esteri Giulio Prinetti, nella sua qualità di Presidente della Commissione sull'emigrazione, che impediva la cosiddetta emigrazione sussidiata diretta specialmente in Brasile. Fu considerato uno dei rari provvedimenti a tutela del lavoro degli emigranti italiani e come tale fu difeso anche dal noto deputato socialista Filippo Turati, anche se provocò un irrigidimento nelle relazioni tra Italia e Brasile, che continuò ad inviare opuscoli che esaltavano le felici condizioni del lavoro in quelle terre.
Gli italiani che arrivarono a San Paolo tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo provenivano nella maggior parte dal Meridione (San Giovanni in Fiore, Cosenza, Potenza, Salerno, e erano quasi tutti di estrazione contadina). Importante, per i nuovi arrivati, fu l'appoggio fornito dalla rete di relazioni con i connazionali. Nella rapida crescita di città come Sao Paolo gli Italiani ed in particolare i Calabresi, furono i protagonisti.
Una forte ondata di emigrazione dell'Italia nord-orientale si diresse invece verso il Rio Grande do Sul, nel periodo che va tra il 1875 e il 1905. Era una immigrazione in maggioranza proveniente dal Venero e da altre zone adiacenti como il Friuli, il Trentino-Tirolo e la Lombardia, che fondarono o consolidarono città come Caxias do Sul (giá Colonia Caxias), Nova Trento, Nova Pádova, Garibaldi, Nova Venezia e via di seguito. La mischia dei dialetti di provenienza, l'italiano e il portoghese parlato nel Rio Grande do Sul formarono addirittura una lingua – il "'Talián" –, che ancor oggi si insegna nelle scuole riograndensi.
Quando segnalo questi fatti, non posso fare a meno di pensare a quei terribili versi di "'Merica, 'Merica": Abbiamo dormito sul nudo terreno insieme alle bestie, ma con il lavoro dei nostri italiani, abbiamo formato paesi e città.
Oggi, in tempi di esaltazione di valori materiali ed effimeri, vale la pena ricordare le difficili storie di emigrazione in questo continente, con l'orgoglio di essere italiani.