di Ottorino Gurgo
C'è già gran fermento nei partiti in vista delle elezioni del prossimo anno. E ad accrescere ulteriormente l'interesse per questo evento ha notevolmente contribuito una voce diffusasi la scorsa settimana nei palazzi romani della politica, peraltro immediatamente smentita dal diretto interessato. Secondo questa voce, il presidente del Consiglio Mario Draghi si accingerebbe a scendere in campo alla guida di una nuova formazione di centro.
La smentita di Draghi è stata perentoria e, oltre a negare ogni propensione per un impegno politico, il premier con sarcasmo ha aggiunto, rivolto a tutti coloro che appaiono preoccupati di trovargli una collocazione: "Io il lavoro me lo trovo da solo". Della smentita va certamente tenuto conto anche se non si può dimenticare la determinazione di Sergio Mattarella nel respingere l'ipotesi di una sua rielezione al Quirinale, rielezione che, per senso di responsabilità è stato, poi, "costretto" ad accettare quando gli eventi hanno reso questa accettazione inevitabile.
E allora il "no" di Draghi ad un impegno in politica che egli sembra considerare di una "esperienza" transeunte, potrebbe anche non essere definitivo. Per una ragione soprattutto: che il tramonto delle ideologie ha radicalmente trasformato la politica in una attività di natura prevalentemente pragmatistica che ha bisogno di uomini capaci di interpretarla. È quindi inevitabile chiedersi se, al momento, nel nostro paese esistano partiti e leader in grado di dar corpo a questa che potremmo definire "nuova politica". Purtroppo, guardandoci intorno, non possiamo non dare a questo interrogativo una risposta negativa.
Esiste, tuttavia, grazie a quello "stellone" che ha aiutato l'Italia nei momenti difficili, un uomo in grado di guidare il paese, anche in una situazione complessa come l'attuale. Quest'uomo - diciamolo senza reticenze - si chiama Mario Draghi. Dobbiamo, tuttavia, confessare di non amare in particolare modo la prospettiva dell'"uomo solo al comando". Per questo non dispiacerebbe (anche per evitare gli stucchevoli interventi di quanti - chissà perché - sostengono che a capo del governo debba essere un parlamentare) che Draghi accettasse di "sporcarsi le mani" e scendesse in campo alle prossime elezioni, quale che sia la toponomastica politica nella quale inserirsi.
Con la sua personalità il premier potrebbe probabilmente rivitalizzare quel sistema dei partiti che oggi sembra vivere una fase di deprimente declino. Che tra i partiti e Draghi non corra buon sangue è noto: i primi ritengono che il capo del governo li abbia relegati nell'angolo e ami, troppo spesso, decidere per proprio conto, senza il loro benestare; il secondo non ama i tempi lunghi dei partiti, le loro strumentalizzazioni, le manovre paralizzanti che ne caratterizzano il comportamento. L'auspicio che si può a questo punto formulare è comunque duplice: che, in un clima di generale riforma, i partiti tornino ad essere l'asse portante della vita politica come si conviene ad un sistema democratico e che con la loro condotta non disgustino il presidente del Consiglio - del quale l'Italia ha più che mai drammaticamente bisogno - al punto da indurlo a chiamarsi fuori.