DI MARCO FERRARI
Lo scrittore partigiano non muore mai, combatte con le parole nei luoghi della resistenza. Cadono cento anni dalla nascita di Beppe Fenoglio (Alba, 1marzo 1922 – Torino, 18 febbraio 1963), scrittore e traduttore italiano, impiantato con salde radici nelle sue Langhe. Proprio ad Alba è sempre in funzione il Centro Studi Beppe Fenoglio che conserva nella sede oltre 1400 volumi. Primogenito di tre figli, padre macellaio e madre casalinga, cresciuto con il dialetto piemontese, a scuola impara l’italiano. Nonostante le ristrettezze economiche, su consiglio del maestro elementare, Fenoglio frequenta il liceo, diventando un alunno modello e appassionato soprattutto di inglese, iniziando anche delle traduzioni. Nel 1940 si iscrive alla facoltà di Lettere dell’Università di Torino che frequenta fino al 1943 quando è richiamato alle armi prima a Cuneo e poi a Roma al corso di addestramento per allievi ufficiali. Quando l'Italia si arrende agli Alleati e la Germania nazista occupa la maggior parte della penisola, il suo reparto di addestramento si disperde e lui affronta un viaggio avventuroso per far ritorno a casa, dove nel gennaio del 1944 entra nelle file partigiane. Alla fine della guerra, Fenoglio riprende per un breve tempo gli studi universitari prima di decidere, con grande rammarico dei genitori, di dedicarsi interamente all’attività letteraria. Nel maggio del 1947, grazie alla sua ottima conoscenza della lingua inglese, viene assunto come corrispondente estero di una casa vinicola di Alba. Il lavoro gli permette di contribuire alle spese della famiglia e di dedicarsi alla scrittura. L’amore per la lingua inglese lo porta a scrivere il suo capolavoro, “Il partigiano Johnny”, pubblicato postumo per la prima volta nel 1968. Sino alla scomparsa, avvenuta all’età di soli 40 anni, in opere quali “Primavera di bellezza” e “I ventitré giorni della città di Alba”, lo scrittore rappresentò il mondo rurale delle Langhe e il movimento di resistenza italiana, entrambi ispirati alle proprie esperienze personali, raccontati attraverso la cronaca e i sentimenti. Molto del suo lavoro è stato scoperto dopo l’addio al mondo, contribuendo anche alla valorizzazione di un territorio particolare come quello di Alba. La macelleria di famiglia era in Piazza Rossetti 1, diventata un Centro studi, base delle celebrazioni del centenario del letterato che dureranno un anno, scandito dal trascorrere delle stagioni, e per ognuna il titolo di un libro di questo grande autore di una stagione irripetibile, quella che ha forgiato la resistenza al fascismo e alle dittature dando vita alla Costituzione, alla repubblica e al fecondo dopoguerra. Al primo piano ecco la stanza dove Fenoglio passava le sue notti sull’Olivetti Studio 44, verde, pesante 6 chili, mai pulita da allora, prestata per l’occasione dalla figlia Margherita («Ciao per sempre, Ita mia cara. Ogni mattino della tua vita, io ti saluterò…»). Come ha raccontato Italo Calvino, che lavorava alla Einaudi, lo scrittore di Alba temeva di non riuscire a pagare la Olivetti, allora molto costosa, come lui stesso confessava: «Ho cambiato macchina da scrivere e sono imbarazzato per la copertura della differenza». Il tavolo è in legno nero, la credenza sempre la stessa dei vecchi Fenoglio. In una teca sono contenute le armi del partigiano Johnny: la carabina M1 calibro 30, americana, col legno un po’ liscio e un po’ corroso, e la pistola Colt 1911 calibro 45. Nelle stanze del Centro anche il dattiloscritto del libro “La malora”, neppure una correzione, perfetto dopo tanto battere di tasti: era scivolato nel sottofondo di un cassetto e l’hanno ritrovato per caso. A mantenere viva la memoria di Fenoglio ci pensa la figlia Margherita: «Rileggo molto mio padre, i racconti specialmente e l’amatissimo Gorgo». Le aveva solo due anni quando suo padre morì di cancro, all’ospedale Molinette di Torino lasciando una caterva di materiale tanto da farlo diventare più noto postumo che in vita. «La sua privazione e la sua presenza – ha raccontato la figlia - hanno battagliato nella mia vita, ma non c’è stato giorno in cui io non lo abbia pensato. Più che cercarlo l’ho trovato, l’ho sempre avuto con me». Il paesaggio di Fenoglio non è solo quello formato dai vigneti ma, più alto, quello della natura selvatica, dove la Langa delle colline ricche lascia spazio a boschi, noccioleti e rivi d’acqua. E’ un Piemonte segreto con nomi “fenogliani”: Mango, Valdivilla, Neive, Bosia, Murazzano, Castino, Cravanzana, Roddino, Benevello, Treiso, Mombarcaro, Monforte, Bossolasco. Oppure la collina di Canelli, dove Milton cattura il suo inutile tedesco nella speranza di scambiarlo con una verità impossibile, piena di viti che attendono di sbocciare per dar anima ad uno dei vini migliori del pianeta. Oppure la piazzetta di San Benedetto Belbo dove il futuro scrittore passava le vacanze estive nella casa degli zii paterni. Qui, su una panchina, Fenoglio scrisse “Un giorno di fuoco” con la sua Olivetti appoggiata alle ginocchia. A Bossolasco, Fenoglio trascorse l’ultimo periodo di vita sperando di guarire. Andando verso il Bricco dell’Allodola in un paesaggio fatto di strapiombi il fotografo Aldo Agnelli fece le ultime fotografie di Fenoglio in giacca e camicia bianca. Il volto sapeva di saggezza contadina, ma anche di ironia, spezzata per sempre in giovane età.
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