Vladimir Putin non dispone solo dell'artiglieria militare necessaria per la riuscita dell'invasione su larga scala dell'Ucraina, scattata questa notte, ma anche dello "scudo" contro l'unica vera arma che l'Unione Europea sembra intenzionata a utilizzare per contrastarla: le sanzioni. L'economia russa è oggi in grado di resistere alle misure economiche che Bruxelles si prepara a inasprire dopo quelle messe in campo solo martedì scorso, in verità piuttosto blande. Non è un caso: sono anni che Vladimir Putin si prepara allo scenario peggiore. Non ha fatto lo stesso l'Ue che ha affidato alla Russia una quota sbilanciata delle forniture di beni strategici, come il gas, né si è curata di sollecitare alcuni Stati membri a ridurre la propria dipendenza dagli scambi commerciali con Mosca. Il quadro che Bruxelles dovrà analizzare nel corso del Consiglio straordinario convocato per oggi è piuttosto fosco. Certamente verranno approvate nuove sanzioni verso Mosca, ma lo farà con l'amara consapevolezza che non serviranno a far desistere il Cremlino dalle sue mire espansionistiche alle porte dell'Europa.
"La Russia", dice all'HuffPost Davide Tentori, ricercatore dell'Osservatorio di geoeconomia dell'Ispi, "ha costruito un cuscinetto molto importante per la sua economia, preparandosi a uno scontro commerciale con l'Unione Europea. Questo cuscinetto è rappresentato dalle enormi riserve di valute estere e auree che Mosca ha aumentato in maniera cospicua da diversi anni a questa parte". Oggi le riserve valutarie valgono oltre 600 miliardi di dollari, il livello più alto mai raggiunto e toccato già a maggio di un anno fa. Negli ultimi sei anni la Russia le ha quindi raddoppiate, dopo il minimo post-2008 di 356 miliardi di dollari di aprile 2015, quando il governo spese circa 250 miliardi di dollari per salvare l'economia durante la crisi dei prezzi del petrolio del 2014. Da allora la Banca Centrale si è concentrata sulla ricostruzione delle riserve fino a quello che il governatore Elvira Nabiullina ha chiamato il suo "livello di comfort" di 500 miliardi di dollari.
"Questo cuscinetto", prosegue Tentori, "costituisce un punto molto importante a favore di Putin in questa partita. Se ad esempio le sanzioni europee dovessero colpire le forniture di gas, Mosca potrebbe utilizzarle per attutire il colpo per diverso tempo. D'altro canto, se le misure dovessero prendere di mira gli approvvigionamenti di metano, a patire le conseguenze maggiori nel breve periodo sarebbe proprio l'Europa, essendone dipendente e sottoposta alle pressioni del mondo industriale, soprattutto quello energivoro". Dopo i molteplici attacchi russi a diversi obiettivi ucraini, il prezzo del gas ad Amsterdam, il mercato benchmark per l'Europa, è salito di oltre il 30%, sfondando il muro dei 100 euro per megawattora.
Mentre Bruxelles solo in queste settimane ha compreso le enormi conseguenze derivanti dalla sua dipendenza dagli approvvigionamenti di gas russo, adoperandosi per trovare forniture emergenziali (Qatar, Usa, Azerbaijan), Mosca lavora da tempo per diversificare i suoi clienti commerciali. A partire dalla Cina: "Nell'orizzonte medio-lungo, Mosca sta già diversificando i suoi partner energetici. Con Pechino in prima linea, grazie al raddoppio del gasdotto Power of Siberia che sarà operativo nel 2025. Una valida rotta alternativa per la Russia, la cui economia è fortemente dipendente dall'export energetico".
Mosca si è mossa per tempo, a partire dal risanamento delle sue finanze, con tagli alla spesa pubblica e contenimento dell'inflazione. "Negli ultimi anni ha messo in ordine i suoi fondamentali macroeconomici, e ha registrato rilevanti surplus di bilancio nelle partite correnti. Oggettivamente la situazione finanziaria odierna della Russia è abbastanza solida, nonostante non manchino i problemi", continua Tentori, "come il livello della crescita e della produttività piuttosto basso. Si deve poi tener conto della crisi demografica, un calo della popolazione che sta interessando soprattutto quella in età lavorativa".
Eppure l'economia russa è pronta a subire l'impatto delle sanzioni europee, anche le peggiori. Negli anni il Cremlino ha ridotto il proprio budget e ha cercato di diversificare il proprio portafoglio commerciale per diventare meno dipendente dall'Ue per i proventi delle esportazioni. Secondo Paul McNamara, Investment Director per il debito dei mercati emergenti di Gam Investments, "con un debito pubblico molto ridotto, un'eccedenza della bilancia dei pagamenti e la più forte posizione di riserve in valuta estera tra i mercati emergenti, la Russia non dipende dal capitale estero in misura rilevante; quindi, le sanzioni mirate a ridurre gli afflussi di capitale avranno poca presa". Le riserve di Mosca ammontano al 40% del prodotto interno lordo russo. Per farsi un'idea: in Europa sono "solo" al 9% del Pil. Ancora, diversamente dal Vecchio Continente, la Russia ha quantità di debito molto limitate: quello pubblico ammonta a meno del 20% del Pil, quello estero nel complesso al 32%.
Dalla crisi in Crimea, Mosca ha inoltre avviato un processo di de-dollarizzazone, riducendo la sua esposizione del dollaro e incrementandola su altre valute, in primis l'euro e yuan. A fine 2021 il Cremlino ha lisciato il pelo a Bruxelles, ribadendo il suo "impegno nel dialogo con l'Ue nell'ambito della discussione sull'aumento del ruolo internazionale dell'euro e siamo pronti ad aumentare la quota dell'euro nelle rispettive operazioni a scapito della componente del dollaro". Anche questo è un elemento di cui Bruxelles dovrà tenere conto nel vagliare le nuove sanzioni.
Le enormi riserve di Mosca "verranno utilizzate per rispondere a diverse criticità che emergeranno di pari passo con il precipitare degli eventi. Ad esempio, per sopperire a eventuali deficit di bilancio o anche ai mancati introiti derivanti sia dalle esportazioni di gas sia di altri beni. Di certo la Russia puo resistere a sanzioni economiche anche di entità maggiore di quelle finora messe in campo", spiega Tentori. Tra il 2014 e il 2020 la Russia ha avuto una crescita del suo Pil pari allo 0,3%, molto inferiore alla media internazionale. Eppure è difficile quantificare l'impatto avuto dalle sanzioni europee scattate dopo l'occupazione della Crimea, visti i prezzi relativamente bassi delle fonti fossili che, com'è noto, rappresentano una quota rilevante delle esportazioni e della capacità di creare valore dell'economia russia. Mosca ha accumulato comunque riserve valutarie grazie al petrolio, che genera guadagni per le finanze pubbliche russe appena il barile supera il prezzo dei 40 dollari.
A rendere ancora più spuntate le armi europee è poi la tipica divisione interna tra gli Stati membri: "È difficile dire fino a che punto può realmente spingersi l'Ue nell'adozione di misure punitive", continua Tentori. "Ci sono Paesi che hanno un'esposizione commerciale meno marcata, altri maggiore. Per Germania e Italia il peso della Russia come partner commerciale si aggira intorno al 4%. Altri, invece, come Polonia e Lituania dipendono in modo molto più significativo dagli scambi con Mosca. La Polonia fino all'11%, la Lituania fino al 30%. Per questa ragione interrompere interrompere i flussi di determinati beni o ridurli in maniera drastica può incontrare molto resistenze da parte di alcuni Stati membri". Nel complesso, gli scambi bilaterali tra Ue e Russia sono comunque otto volti superiori a quelli tra Russia e Stati Uniti.
Come rilevato dallo storico dell'Economia Adam Tooze, "ciò che dà a Putin la sua libertà di manovra" sono le enormi riserve valutarie di cui dispone e che ha accumulato col tempo, preparandosi a possibili sanzioni per attuare le sue mire geopolitiche che certamente non nascono oggi. "Le riserve valutarie", scrive Tooze, "conferiscono al regime la capacità di resistere alle sanzioni sul resto dell'economia. Possono essere usate anche per frenare la corsa del rublo". Anche nel caso di quella che alcuni definiscono l'arma nucleare delle sanzioni, l'esclusione della Russia dal sistema dei pagamenti Swift, "la Russia potrebbe trovare alternative abbastanza efficaci avendo creato un sistema di pagamenti proprio all'interno del Paese e appoggiandosi di più a quello cinese". E anche in questo caso le ripercussioni finanziarie si avvertirebbero comunque sul sistema europeo.
Sono le banche italiane, insieme a quelle francesi, le più esposte verso la Russia. Salvo alcuni casi, l'esposizione delle banche europee verso Mosca è piuttosto bassa, come ha sottolineato mercoledì il vicepresidente della Banca Centrale Europea De Guindos. Tuttavia, l'Eurotower ha comunque lanciato un alert agli istituti dell'eurozona: l'Eurotower ha invitato le banche attive in Russia a riferire sui rischi. La Bce vuole avere dettagli dalle banche per valutare i rischi per la loro liquidità, i portafogli di prestiti, le posizioni commerciali e valutarie, nonché la loro capacità di mantenere le operazioni in corso, ha riportato Bloomberg. Ugualmente, l'istituto di Francoforte sta monitorando la situazione ed è in stretto contatto con le banche e i regolatori nazionali.
Sulla base delle informazioni disponibili, le banche del Vecchio Continente hanno ridotto la propria esposizione verso Mosca a partire dal 2014 dopo l'occupazione della Crimea. Secondo una ricerca del Credit Suisse sui dati della Banca dei Regolamenti Internazionali, risalenti al giugno 2021, per gli istituti italiani e francesi l'esposizione ammonta a 26,5 miliardi di euro, per quelli austriaci poco meno di venti. Mentre, guardando ai singoli istituti, l'analisi evidenzia come l'esposizione più elevata sia quella dell'austriaca Raiffeisen Bank International con una quota di ricavi del 20% realizzata in Russia e con un ammontare di prestiti di 10,5 miliardi, considerando anche l'Ucraina. A seguire, Societè Generale che ha una quota di ricavi in Russia del 4% con 8,7 miliardi di prestiti. La terza banca per esposizione è Unicredit, presente in Russia dal 2005 dopo la fusione con Hvb che aveva nel Paese una propria controllata. La banca ha attualmente circa 2 milioni clienti retail e circa 30.000 corporate, con una rete di 72 sportelli che erogano circa 8 miliardi di euro di prestiti. Nel 2021 la controllata russa ha fruttato al gruppo Unicredit circa 180 milioni di utile, solo una piccola parte rispetto ai 3,9 miliardi totali; pesa per circa il 3% del margine di interesse e per il 3% del capitale allocato. Le banche statunitensi sono esposte invece per 14,6 miliardi, quelle tedesche si limitano a otto miliardi.
In una analisi sull'impatto della crisi ucraina sull'economia europea, l'osservatorio di Oxford Economics ha osservato che "i legami finanziari tra Europa e Russia sono limitati. Le banche estere, comprese le loro filiali russe, hanno debiti per 121 miliardi di dollari da entità russe, con oltre metà di tale importo verso istituti di credito europei. Ma il debito è concentrato principalmente in tre banche: UniCredit in Italia, Société Générale in Francia e Raiffeisen Bank in Austria. "Sebbene le sanzioni possano avere un impatto considerevole sui risultati di tali banche in Russia, le loro operazioni nel paese - spiega Oxford Economics - rappresentano una piccola parte della loro attività totale (meno del 3% del totale delle attività ponderate per il rischio nel caso di SocGen e UniCredit, ma vicino al 10% per Raiffeisen)" .
Di conseguenza, continua l'analisi, "il rischio sistemico in generale per il sistema bancario europeo è limitato". Quanto ai mercati azionari "è probabile che registreranno una maggiore volatilità, concentrata in particolare sulle società con esposizioni più ampie, ma non prevediamo che le azioni europee subiranno perdite consistenti e prolungate a meno che il conflitto non si intensifichi gravemente". Come è avvenuto oggi: Piazza Affari lascia sul terreno il 4,15% a 24.877 punti, al di sotto della soglia dei 25.000 punti, e torna sui valori di luglio 2020. A sprofondare sono in primis le banche a partire da Unicredit, la più esposta in Russia (-13,49%), seguita da un'azienda parimenti presente a Mosca, Pirelli (-10,4%). L'altra grande banca italiana, Intesa, cede il 7,96%, poco meno peggio di Banco Bpm (-8,19%) e dei titoli del risparmio gestito: Mediolanum (-8,5%) e Banca Generali (-8,63%) risentono del cambio di direzione dei mercati.