"In Ucraina", specifica il direttore dell'Isin (Ispettorato nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione) Maurizio Pernice, "si trovano 15 reattori di progettazione russa attualmente in esercizio, distribuiti nei 4 siti di Khmelnitski (2 unità), Rovno (4 unità), South Ukraine (3 unità), Zaporozhye (6 unità), e 4 reattori in disattivazione nel sito di Chernobyl, totalmente diversi". A questi vanno aggiunte le due centrali in costruzione, i depositi di combustibile nucleare e di rifiuti radioattivi presenti nei siti nucleari e altri depositi di rifiuti radioattivi nei pressi delle città di Kiev, Dnipro, Odessa, Carkiv e Leopoli, oltre alle trincee sparse nella zona di esclusione di Chernobyl in cui vennero confinati i rifiuti prodotti dalle attività di messa in sicurezza conseguenti l'incidente del 26 aprile 1986. Un disastro dovuto all'esplosione del reattore numero 4 che sprigionò una nuvola di materiale radioattivo provocando la contaminazione di gran parte dell'Europa.
Improbabile l'attacco ai siti atomici - L'esistenza sul territorio di siti atomici costituisce di per sé un pericolo in quanto le centrali possono essere oggetto di attacchi con armi convenzionali. Non solo. Essendo delle strutture sensibili come fonti di energia, sono inserite al pari delle basi delle forze armate, di oleodotti o di raffinerie tra i possibili obiettivi bellici delle forze di occupazione. La loro distruzione, infatti, potrebbe risultare strategica, come cita un comunicato dei servizi segreti estoni, "per interferire con il comando, il recupero e l'approvvigionamento delle forze armate ucraine e per neutralizzare il sistema energetico dell'Ucraina". Una visione che evidenzia il paradosso del nucleare a uso pacifico, ossia di potere diventare uno strumento militare per le forze occupanti.
Per fortuna, però, l'ipotesi di bombardamenti ai siti atomici sembrerebbe remota come spiega Maurizio Pernice: "Per quanto riguarda gli aspetti di sicurezza legati a possibili attacchi dall'esterno, questi impianti non sono progettati per resistere a un bombardamento, ma l'evenienza non dovrebbe essere presa in considerazione. Infatti un attacco di tipo catastrofico comporterebbe conseguenze anche sui Paesi confinati con l'Ucraina, Russia inclusa, a causa della mobilità della radioattività contenuta nei reattori che, una volta uscita nell'ambiente, è soggetta alla direzione dei venti, sottratta a qualunque intervento umano". Viceversa, colpire i siti di stoccaggio dei rifiuti radioattivi potrebbe essere un'opzione considerata in quanto "un bombardamento a questi siti causerebbe conseguenze locali limitate alle aree circostanti", ma comunque gravose per le popolazioni del luogo.
La possibilità di incidenti non voluti - L'improbabilità di atti bellici intenzionali non elimina il pericolo di eventuali incidenti. La storia delle guerre è disseminata da errori balistici che hanno colpito ospedali, asili, orfanotrofi, luoghi di culto o altre strutture da considerare neutrali. Simili errori potrebbero accadere anche nella guerra in corso senza il volere diretto dei due contendenti. La conferma arriva dalle notizie del deposito di materiali radioattivi nei pressi di Kiev raggiunto da un missile, per fortuna senza conseguenze secondo l'Isin, e dall'occupazione dell'esercito russo di Chernobyl.
Un episodio, quest'ultimo, che ha generato non poche preoccupazioni. Dopo i combattimenti, infatti, l'Autorità per la sicurezza nucleare ucraina (State Nuclear Regulatory Inspectorate of Ukraine – Snriu) ha registrato un innalzamento della radioattività nell'ambiente fino a 15 volte il valore medio misurato nel 2021. Un fenomeno, come conferma l'Isin, confinato all'interno della zona di esclusione interdetta a seguito dell'incidente del 1986 e, probabilmente, dovuto al passaggio di mezzi militari pesanti che hanno provocato la sospensione di radionuclidi depositati al suolo. Nella zona sono infatti presenti trincee create dopo l'esplosione del reattore 4 dove sono stati sotterrati i rifiuti radioattivi (si stimano oltre 200 tonnellate di scorie tra corium, uranio e plutonio) prodotti durante le fasi di mitigazione e gestione dell'incidente.
I timori per la sicurezza degli impianti - Un'ultima eventualità da considerare è che la guerra possa compromettere la sicurezza degli impianti. Per fortuna, le attuali centrali ucraine, per lo più di terza generazione (solo due a Rovno sono di seconda), sono dotate dei sistemi di sicurezza più avanzati come conferma il direttore di Isin Pernice: "Nel 2012, a valle dell'incidente di Fukushima, gli impianti ucraini, e tutti gli altri impianti europei, sono stati sottoposti a Stress Test per verificarne la robustezza nel fronteggiare eventi estremi quali inondazioni, perdite delle alimentazioni elettriche esterne, perdita del pozzo di calore esterno con cui scambiare il calore prodotto all'interno dei reattori. A conclusione dei test, l'Ucraina ha predisposto e implementato un piano di azione nazionale e ha apportato delle modifiche agli impianti per migliorare i loro margini di sicurezza".
Il problema, però, potrebbe emergere da un ipotetico allentamento del mantenimento delle strutture in una situazione di conflitto. "Le convenzioni internazionali", rassicura Pernice, "impongono in ogni caso il mantenimento degli standard di sicurezza e prevedono che ove ciò non sia possibile, gli impianti debbano essere messi in uno stato di arresto a caldo e, successivamente, di arresto a freddo. L'Isin è punto di contatto nazionale dei circuiti internazionali di emergenza e dalle informazioni che giungono da questi canali risulta che la maggior parte degli impianti è attualmente regolarmente funzionante".
Le preoccupazioni degli enti di controllo - Se la situazione appare sotto controllo, rimane comunque la possibilità di una degenerazione del conflitto con eventuali conseguenze sui siti sensibili. La stessa dichiarazione dell'esercito russo di avere preso il controllo di Chernobyl per proteggere l'impianto da ipotetici atti terroristici non appare troppo rassicurante. Non a caso le reazioni all'attacco sono di allarme. L'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) ha espresso "grave preoccupazione" per la situazione in corso, rimarcando la "vitale importanza" di mantenere in funzione tutte le attività che preservano il sito da eventuali fughe radioattive.
Una preoccupazione che ha portato anche a una riunione straordinaria con l'Ensreg (European Nuclear Safety Regulators Group), il Wenra (Western European Nuclear Regulators' Association), il Snriu e le autorità di regolamentazione sulla sicurezza nucleare degli stati membri dell'Unione Europea, inclusa l'Isin. Un incontro concluso con l'auspicio della fine degli attacchi in Ucraina e con una dichiarazione di grande preoccupazione per il dispiegamento di armi e per gli attacchi nella zona di esclusione di Chernobyl. Inoltre, si richiede che "in tutti gli impianti del Paese venga assicurata la possibilità al personale operativo e all'autorità di regolamentazione Snriu di svolgere, senza indebite pressioni, i propri compiti per garantire la sicurezza di impianti e materiali nucleari ucraini". Una serie di tensioni e preoccupazioni che sarebbero inesistenti se a fornire energia fossero parchi eolici o impianti solari a concentrazione. Considerazioni che forse sarebbe opportuno considerare in fase di elaborazione dei piani di sviluppo energetici di Italia ed Europa.