di Claudio Paudice
La grande fuga del business è cominciata e tutto lascia pensare che sia solo l'inizio di una emorragia di denaro che sta per abbandonare il Paese. Case automobilistiche, multinazionali, fondi di investimento, aziende di trasporto e comitati sportivi, alla spicciolata, stanno lasciando la Russia. Miliardi di investimenti già fatti o previsti che rischiano di andare in fumo dopo la decisione del Cremlino di lanciare un'invasione su vasta scala dell'Ucraina. I motivi sono vari: c'è la preoccupazione per i lavoratori o di incorrere in problemi logistici, ci sono i timori di un danno reputazionale nel mantenere attivi i propri affari nel Paese invasore, il rischio di essere colpiti direttamente o indirettamente dalle sanzioni che Stati Uniti, Unione Europea e Regno Unito hanno deciso di comminare come ritorsione, e quello di incontrare criticità nella riscossione dei pagamenti. In particolare l'esclusione di sette - per ora - banche russe dal circuito dei pagamenti internazionali e altre sanzioni che stanno colpendo le banche e le industrie russe decise dalla Commissione Europea di concerto con la Casa Bianca e Downing Street stanno creando non pochi problemi al tessuto economico, generando enormi incertezze sulla tenuta del sistema dei pagamenti anche all'interno della Russia. Da quando poi l'Occidente ha deciso di congelare le riserve valutarie accumulate da Mosca negli ultimi anni in previsione di un conflitto da tempo premeditato, il rublo russo ha visto un collasso che oggi lo vede scambiare a più di 108 sul dollaro, quando prima della guerra veniva scambiato a 75 sulla valuta americana. In pratica un rublo vale meno di un centesimo del biglietto verde. Una perdita di valore della moneta che non è ancora chiaro come la Banca Centrale russa riuscirà ad arginare ma che nel frattempo ha creato il panico sui mercati per l'isolamento finanziario a cui Mosca sta andando incontro. Da quattro giorni la Borsa della capitale non apre, i cittadini si sono precipitati ai bancomat per ritirare contanti, gli analisti già intravedono una recessione profonda. Le agenzie Fitch e Moody's hanno tagliato il rating mettendo il Paese tra quelli che possono avere problemi a rimborsare il proprio debito. Moody's ha abbassato la sua valutazione sul debito di lungo termine da BAA3 a B3, indicando di mantenere alta l'attenzione alle sanzioni imposte al paese dall'Occidente. Fitch ha tagliato il suo giudizio da BBB a B. Il debito russo è junk, in altre parole spazzatura.
L'ultima a salutare la Russia è stata la Formula 1 che ha annunciato di aver risolto il suo contratto con il promotore del Gran Premio di Russia che si tiene all'autodromo di Soči. Con la cancellazione del GP le tappe del mondiale di F1 diventeranno 22. Ma l'elenco di chi fugge da Mosca e anche da Minsk è sterminato ed è destinato a salire dopo la decisione di diverse compagnie di navigazione, i colossi dei container come Msc e Maersk, di cancellare tutti gli scali da e verso la Russia. Ai due maggiori carrier di merci a livello globale si sono poi aggiunte la compagnia cargo di Amburgo, Hapag-Lloyd, la quinta al mondo, e l'alleanza One composta da K Line, Mitsui e Nippon Yusen Kaisha, che ha sospeso le fermate sia in Ucraina, a Odessa, sia in Russia, a Novorossiysk. Anche il terzo operatore, l'armatore francese Cma Cgm, ha sospeso tutte le tratte verso i porti russi, così come hanno fatto le più grandi aziende di spedizione come FedEx, Ups e Dhl. L'ECT di Rotterdam, primo porto d'Europa per volume di traffici, ha annunciato che i container con destinazione Russia saranno bloccati dalla dogana e non potranno essere caricati, anche ad Amburgo è stata presa una analoga decisione.
Il conflitto e l'incertezza hanno quindi indotto la casa tedesca Volkswagen a interrompere tutta la sua produzione sul suolo russo, incluse le esportazioni: "A causa della guerra condotta dalla Russia il presidio del gruppo ha deciso di fermare la produzione di veicoli in Russia", ha fatto sapere la casa di Wolfsburg. Non è l'unica: la Bmw martedì ha detto di aver bloccato tutte le esportazioni dei suoi veicoli e soprattutto di voler interrompere l'assemblaggio con il suo partner russo a Kaliningrad. Così ha fatto pure Daimler-Mercedes che non consegna più i suoi componenti per camion al partner russo Kamaz. La Renault ha fermato tutto in due stabilimenti per i problemi legati alle catene di fornitura colpite dal conflitto. General Motors non invierà più veicoli, Ford e Volvo pure. Non è finita: Toyota ha annunciato la sospensione delle operazioni nella sua unica fabbrica in Russia e ha smesso di spedire veicoli nel paese, citando "interruzioni della catena di approvvigionamento" legate all'invasione russa dell'Ucraina. Nello stabilimento di San Pietroburgo vengono assemblati tra gli 80mila e i 100mila veicoli all'anno, principalmente destinati al mercato russo, tra cui il modello RAV4 e la berlina Camry: "Toyota Motor Russia interromperà la produzione nel suo stabilimento di San Pietroburgo e ha fermato le importazioni di veicoli, fino a nuovo avviso", ha detto la società in un comunicato. L'impianto di San Pietroburgo impiega circa 2.600 persone, ha detto una portavoce di Toyota, confermando che l'interruzione è legata al conflitto. Toyota non ha fabbriche in Ucraina, ma ha detto che le operazioni di vendita nel Paese sono sospese dal 24 febbraio. Analoga decisione per la Mazda, che nel 2021 ha venduto in Russia circa 30.000 auto: la compagnia ha comunicato che le forniture di parti di ricambio ad una società locale di Vladivostok (est) termineranno quanto prima. Honda ha deciso di fermare l'invio delle proprie auto in Russia per le difficoltà nel sistema dei pagamenti dal momento che, a differenza di Toyota, le vetture vengono trasferite dagli Stati Uniti. In base ai dati del ministero delle Finanze nipponico, il mercato automobilistico e il suo indotto hanno rappresentato oltre la metà di tutto l'export giapponese in Russia nel 2020. Infine: nei porti e negli aeroporti russi non arriveranno più Harley-Davidson.
Fuggono da Mosca anche i costruttori di aerei come Boeing che ha sospeso anche le attività di manutenzione e supporto tecnico alle compagnie aeree russe, così come Airbus. Nike ha cancellato le vendite perché non può garantire le consegne, come la piattaforma di shopping online Yoox, mentre Adidas ha interrotto la partnership con la Federcalcio russa. La diaspora riguarda anche le aziende di prodotti tecnologici come Apple, che ha chiuso sia con le vendite di i-Phone sia con la fornitura di servizi come Apple Pay e Apple Maps, o come Dell ed Ericsson.
Anche il gigante svedese della vendita al dettaglio di mobili Ikea ha annunciato la sospensione di tutte le sue attività in Russia e anche in Bielorussia: la sua decisione avrà riflessi sui circa 15.000 dipendenti, 17 negozi e tre impianti di produzione. "La guerra ha un enorme impatto umano e provoca anche gravi interruzioni della catena produttiva e commerciale, motivo per cui le società del gruppo hanno deciso di sospendere temporaneamente le attività di Ikea in Russia", ha detto il gruppo in una dichiarazione. Anche alcune banche stanno valutando il da farsi, come Intesa Sanpaolo che conta 28 filiali ed oltre 900 dipendenti: "La nostra presenza in Russia è oggetto di valutazione strategiche".
Scappano anche i colossi petroliferi. Bp ha deciso di dismettere la partecipazione del 19,75% in Rosneft e la norvegese Equinor di cessare la partnership con Rosneft, rescindendo anche l'accordo per le esplorazioni in Siberia. Lascia il Paese anche la danese Orsted, controllata dallo Stato al 50,1%, mentre i francesi di TotalEnergies, non apporteranno più capitali a nuovi progetti in Russia e Shell uscirà dalla joint venture nel Gnl con Gazprom, così come Eni uscirà da quella, sempre con Gazprom, per il gasdotto Blue Stream.
Banche, quindi, ma pure grandi fondi: quello patrimoniale norvegese, il più grande del mondo, ha dichiarato di detenere investimenti in Russia per un valore di circa 27 miliardi di corone (3,03 miliardi di dollari) alla fine del 2021, equivalenti allo 0,2% del suo valore totale e in calo rispetto ai 30 miliardi di corone dell'anno precedente. Ma questi asset sono diminuiti del 90% dall'inizio dell'anno a causa della guerra in Ucraina e delle sanzioni economiche. Il loro valore è ora stimato a circa 2,5 miliardi di corone, hanno affermato i gestori del fondo. Il governo norvegese ha dichiarato, domenica scorsa, che il fondo avrebbe prima congelato e poi ceduto le sue attività russe in seguito all'invasione. Le attività russe del fondo consistevano in azioni di 51 società con le partecipazioni di maggior valore in Gazprom, Sberbank e Lukoil, che insieme rappresentavano i due terzi del totale. Il valore del fondo ammontava a 12,3 trilioni di corone norvegesi alla fine del 2021. Proprio Lukoil, la seconda compagnia petrolifera della Russia, ha chiesto una "rapida fine" del conflitto militare. È la prima grande azienda nazionale a opporsi alla guerra, segnale che l'unità dell'establishment e del mondo economico russo inizia a sgretolarsi, dopo alcune prese di posizione di oligarchi a favore della fine del conflitto come il barone dell'acciaio Alexei Mordashov, Mikhail Fridman e Oleg Deripaska.