di Fabrizio Pagani
Gli effetti del conflitto in Ucraina e delle sanzioni si fanno sentire sull’economia. La Russia e’ ormai isolata fisicamente, politicamente e economicamente. La sua economia si sta avvitando in una spirale depressiva di una rapidità e violenza senza precedenti. In pochi giorni, il sistema finanziario russo si è polverizzato: gran parte del sistema bancario non può operare con l’estero, la borsa di Mosca è chiusa definitivamente, gran parte dei fondi occidentali hanno liquidato le loro esposizioni a securities, azioni e bond, russe. Non va meglio per la finanza pubblica: caduta del rublo, aumento abnorme dei tassi di interessi per evitare bank run, perdita della disponibilità di buona parte delle riserve da parte della banca centrale, multiplo downgrade delle agenzie di rating. Il prezzo dei bond sovrani, che oggi trattano a circa 20 cents per dollaro, implicitamente già sconta un default sul debito russo denominato in valuta straniera.
Molte delle principali multinazionali occidentali, dalle major dell’energia alle società di servizi fino alle marche dei beni di largo consumo si stanno ritirando dal Paese, uscendo da investimenti, chiudendo uffici e negozi, licenziando personale. Il Paese è considerato non “investibile” e tossici sono divenuti gran parte dei rapporti economici, anche quelli non coperti direttamente da sanzioni.
L'unico canale rimasto aperto è quello degli introiti della vendita di petrolio e gas all’estero. Con i prezzi attuali esse valgono diverse centinaia di milioni di dollari al giorno, assicurando alla finanza pubblica un cruciale sostegno. In questo quadro e a questi livelli di prezzo, il petrolio conta per tre volte il gas in termini di entrate per le casse russe. E’ proprio qui che l’Occidente ed in particolare gli Stati Uniti stanno pensando di intervenire. Si sta discutendo infatti di imporre un embargo sul petrolio russo, proprio per colpire la più importante fonte di risorse per il governo. Fino ad ora le sanzioni hanno colpito solo indirettamente il settore dell’energia: sono state imposte misure di export control per la componentistica che serve all’industria dell’oil e gas. Un vero embargo petrolifero avrebbe effetti immediati e devastanti, con importanti implicazioni anche per noi.
Gli effetti della guerra infatti cominciano a farsi sentire anche sulle nostre economie. Secondo alcuni, l’implosione dell’economia russa potrebbe togliere circa un 1% alla crescita mondiale nel 2022. Il governo cinese nell’indicare il tasso di crescita più basso degli ultimi tre decenni, attorno al 5,5% per l’anno in corso, ha citato anche la guerra in Ucraina e la conseguente instabilità globale come responsabili del rallentamento. Gli uffici di ricerca di diverse banche internazionali hanno già abbassato le previsioni di crescita in Europa nel 2022 dal 4% al 3%.
Le ragioni di questo rallentamento sono sia dirette che indirette. Prima fra tutte vi e’ il rialzo dei prezzi dell’energia, gas e petrolio. I rialzi che stiamo vedendo in questi giorni sono paragonabili solo alla crisi petrolifera dell’autunno del 1973 quando il prezzo del petrolio fu “weponized” dall’OPEC in funzione anti-americana per il supporto di Washington a Israele.
Procedere ad un embargo petrolifero è decisione difficile e coraggiosa per le conseguenze di prezzi in forte rialzo che vedremo scaricarsi sui consumatori europei ed americani. Si tratta di aumenti insostenibili? La risposta dipende da quanto i prezzi dureranno ai livelli di questi giorni o più alti. Ad un certo punto, i prezzi cominceranno a distruggere domanda e quindi crescita economica. Allo stesso tempo, nel medio termine, 12/18 mesi, la produzione potrà essere aumentata negli Stati Uniti e in Medio Oriente. Una “liberazione” delle esportazioni da Venezuela e Iran potrebbe divenire necessaria.
Vi è quindi un percorso che può portare ad una stabilità dei prezzi petroliferi nei prossimi mesi, seppure su un plateau decisamente più alto di quello a cui siamo stati abituati da anni. E’ peraltro un percorso politicamente complesso ed economicamente doloroso.