Le riflessioni sull’8 marzo sembrano tutte uguali. I detrattori dei diritti sempre gli stessi. Eppure non si può trascorrere un giorno così importante come tutti gli altri. Sono cento anni che in tanti Paesi europei e del mondo si celebra la Giornata internazionale dei diritti delle donne, ma si continua a declassarla a “Festa della donna”, come fosse un compleanno o una banale ricorrenza. Ma una giornata del genere, a cosa dovrebbe servire? Quali cambiamenti dovrebbe apportare? Quali idee dovrebbe trasmettere? Come prima cosa è uno spazio di libertà. In un momento come questo, dove le democrazie sono limitate dall’esterno e dall’interno, dove l’umanità si sforza di pensare ad un mondo purificato dall’arma della pace, dove gli squilibri relazionali sono sempre più gravi, si dovrebbe programmare un mondo a misura di donna.
Invece di rincorrere le simpatiche agende (ad oggi irrealizzabili) del clima per i prossimi decenni, fissiamo una data entro la quale la donna avrà lo stesso peso sociale e lo stesso valore umano e professionale dell’uomo. E sforziamoci di mettere in pratica ogni teoria, ogni concetto, ogni cosa che sia in grado di rendere il mondo dei prossimi anni uno spazio di parità vera. Penso siano almeno tre i moniti che dovremmo seguire per ristabilire il baricentro sociale e porre al centro della vita collettiva donne e uomini alla stessa altezza, con le stesse possibilità, con le stesse responsabilità.
1) Un’educazione al rispetto. Si dovrebbe inserire in tutti i programmi scolastici, dalle elementari alle superiori, un’ora di educazione di genere, di educazione alla libertà, di educazione alla parità. Far capire che non c’è un possessore e un posseduto, che non c’è un padrone e una serva, e che la natura ci ha fatti uguali. Come non c’è una razza superiore, non c’è un genere superiore (e non c’è un genere debole). Già tra i bambini e i ragazzi dilaga un insito, a volte giustificato, bisogno di manifestare la propria superiorità sulle bambine e sulle ragazze. Come se, già dall’infanzia, fosse chiaro il futuro: io comando, lei esegue. Mi è capitato spesso di sentire bambini, durante una partita improvvisata di calcio, rispondere così alle “colleghe”: “È uno sport da maschi”. Questo è solo l’inizio di un percorso non di crescita, ma di regressione. Ma anche di discriminazioni ingiustificabili e di ideologie pericolose.
2) Lotta al patriarcato. Quello patriarcale è un sistema culturale e familiare secondo cui debbano essere gli uomini a guidare gli scranni del potere, i cambiamenti, le famiglie. Lottare contro questo spettro di becero bigottismo significa inserirsi prepotentemente tra il passato primordiale e il presente. Significa ancora una volta spostare i pesi della bilancia verso le donne della famiglia e della società. Alcune culture contrastano il patriarcato, altre le accettano, come se il potere proveniente dall’alfa sia davvero in grado di difenderle e tutelarle.
3) Parità di carriere. Questo è l’aspetto più tangibile. Non possiamo entrare in tutte le scuole e in tutte le famiglie per constatare la gravità e l’incombenza delle due forme di sopraffazione sopra elencate, ma possiamo vedere senza troppi sforzi la presenza (o meglio, l’assenza) femminile da alcune posizioni lavorative, come nei livelli più alti delle carriere direttive e politiche. Tutto questo sempre per il fatto che un uomo può governare meglio un Paese, può comandare meglio un esercito, può trapiantare meglio un organo. Mentre la donna non saprebbe cosa fare. Ho reso il concetto con una sintesi eccessiva, ma la realtà è questa, e a volte allungare il discorso non serve a nulla. In Europa il divario retributivo medio tra uomo e donna è del 14 per cento. Per motivi legati alla sfera personale (come l’arrivo dei figli o la cura dei parenti anziani) molte carriere si interrompono senza poi ripartire. Come può far bene alla società una disparità così grave e ingiustificata?
All’interno di queste tre proposte si apre un’infinità di pensieri e sguardi verso il futuro. Iniziamo dalla scuola, dall’educazione, senza avere paura di spiegare il concetto d’uguaglianza di genere ad un bambino.