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di Franco Esposito

Il problema ora è come chiamarla. Due le ipotesi drammaticamente concrete: “La crisi dell'agroalimentare” o “La guerra del pane”? Le facce, se vogliamo, di un'unica medaglia. La fotografia che fissa il momento punto bello. Tragicamente vero, complici la coda della pandemia, gli aumenti dell'energia e di conseguenza dei prezzi di tutto, e l'aggressione russa all'Ucraina. Paghiamo sempre noi, consumatori obbligati in ogni caso a consumare.

La situazione non denuncia pericolo, è già ampiamente precipitata. Le quotazioni dei cereali, per dirne solo una, hanno raggiunto i massimi livelli. Sono schizzati ben oltre il livello cosiddetto di guardia. Fuori controllo i costi di produzione. Esplosa in maniera fragorosa, la crisi del pane è sul punto di fare prigionieri e di lasciare sul terreno macerie. Poveri noi consumatori paghiamo già il dieci per cento in più. Alto e forte il grido di dolore dei produttori: “Migliaia di laboratori rischiano la chiusura, non riescono più a resistere”.

La guerra tra Russia e Ucraina potrebbe costare agli agricoltori italiani otto miliardi di euro. Con ovvia inevitabile ricaduta sui consumatori. Le associazioni di categoria denunciano il rischio che molte aziende possano finire gambe all'aria. E il caro energie potrebbe alimentare e ingigantire questa tendenza, già palese e forte. Gli aumenti dal panettiere e al bar sono intorno al dieci per cento.

Occhio ai prezzi, giusto non perderli mai di vista nelle loro folli impennate. Alla borsa mercantile di Parigi il grano tenero passa oltre i 422 euro. Gli economisti con le mani nei capelli; disperati i panettieri. Fare affari oggi è molto difficile, addirittura problematico, alla luce degli incrementi compresi tra i il quaranta e il cinquanta per cento da inizio anno a oggi. Il salto in alto interessa i maggiori cereali.

“Decine di panetterie sono a rischio chiusura”, avverte il presidente di Unione artigiani, il panettiere di terza generazione Stefano Fugazza. “A dieci giorni dall'inizio del conflitto in Ucraina le farine di gran duro sono cresciute del quaranta/cinquanta per cento. Non possiamo scaricare questi costi sul prezzo del pane. Lavoriamo in perdita per mantenere i beni di prima necessità al disotto dell'inflazione”.

Il pane è aumentato del tre per cento, a fronte di un'inflazione del 4,5%. Il cornetto ora costa più del prezzo che si pagava a novembre. “E presto potrebbe essere ancora peggio”. Previsione scontata, non c'è bisogno della zingara o di un mago per intuire che “nelle prossime settimane tanti fattori agiranno sui prezzi al dettaglio di numerosi prodotti venduti in Italia: il pane, la pasta, i crackers, biscotti e dolciumi”. E forte è il rischio di speculazioni finalizzate a sfruttare il conflitto in Ucraina. “Per ritoccare i listini dei beni venduti in Italia”.

Pane e pasta potrebbero aumentare tra il quindici e il trenta per cento. Il fenomeno sembra destinato a durare nel tempo. E non è la previsione dell'uomo della strada, furibondo a causa dell'impennata poderosa dei prezzi. I dati provengono dalla Banca Centrale Europea.

C'è il pericolo che l'Italia resti senza pane? Pare di no, anzi questa nefasta previsione non trova sostegno a nessun livello. “Anche perchè non esistono ristrettezze nell'approvvigionamento di grano tenero dall'estero”. Sono infatti marginali le importazioni da Russia e Ucraina, il cinque per cento del fabbisogno italiano.

La produzione nazionale copre circa il 35% del fabbisogno. Secondo Confagricoltura la prima settimana di guerra ha causato un incremento del prezzo del grano tenero a un 29% del prezzo del mais a livello globale. Non aumentano solo i cereali per i prodotti da forno.

Aumentano il pomodoro, il sale, lo zucchero. Mais e soia, con i loro incrementi, alimentano i rincari per l'alimentazione del bestiame, +40% da inizio febbraio. I maggiori costi per l'energia (+70%, da inizio febbraio) hanno elevato il costo medio per al produzione del latte a quota 46 centesimi al litro. Il dato è presente nell'ultima indagine Ismea. Il massimo dei massimi da un decennio.

Secondo la banca statunitense Goldman, il petrolio potrebbe raggiungere quota 150 dollari al barile in un breve lasso di tempo. Il rischio è che ne soffrano maledettamente tutti i prodotti alimentari, non solo la panificazione.

Ma il prezzo della benzina? Continua a correre su livelli altissimi. I listini della verde hanno sfondato la soglia dei 2 euro al litro. Pesanti le ripercussioni non solo per le tasche degli italiani che si spostano in auto o in moto. Le sofferenze riguardano anche la filiera produttiva.

Tanto che il settore della pesca ha proclamato uno stato di agitazione. Pescherecci fermi per una settimana, lavorare non conviene dovendo fare i conti con i costi fuori controllo. Chiesto un incontro con i ministri Franco, Patuanelli e Cingolani. Il titolare delle infrastrutture e delle mobilità sostenibili, Enrico Giovanni, assicura che il governo affronterà il problema.

I comunicati dei gestori dell'Osservatorio prezzi carburanti hanno sicura parvenza di bollettini di guerra. Il prezzo medio nazionale della benzina praticato in modalità self sale a 2,004 al litro, rispetto agli 1,994 di venerdì. Schizza a 1,901 il prezzo medio del diesel.

Non è un bel sentire e neppure in bel vedere. Se questa è la drammatica cadenza, di questo passo non sapremo dove andare a sbattere. O meglio, lo sappiamo benissimo.