di Anonimo Napoletano
Un altro duro colpo al re del narcotraffico a Milano è stato assestato dalla Procura del capoluogo lombardo. Quattro persone sono finite in carcere, una agli arresti domiciliari, mentre un sesto complice è stato sottoposto all'obbligo della firma, grazie ad una ordinanza cautelare del gip Raffaella Mascarino su richiesta del pm della Direzione antimafia Francesca Crupi. Sarebbero tutti legati a Francesco Massimiliano Cauchi, 47enne ras siciliano trapiantato in Lombardia dove ha creato un vero impero del traffico di droga, anche grazie ai rapporti stretti con le cosche di 'ndrangheta calabresi. Tra i sei fiancheggiatori colpiti dalla misura, in particolare, spiccano i nomi di Matteo "Teo" Stroppa, 38enne di Brugherio, e Roberto Smith, 47enne di Cologno Monzese, accusati di essere i bracci destro e sinistro del capo dell'associazione a delinquere dedita al narcotraffico, assieme a Marco Bernini. Vauchi e Bernini finirono in manette nell'ottobre 2019. Proprio il conseguente "pentimento" di Bernini ha permesso agli inquirenti di ricostruire organigramma e modus operandi dell'organizzazione criminale.
Tra il 2014 e il 2018 Cauchi ha importato direttamente dal Marocco enormi "carichi" di hashish, secondo gli investigatori ben tre tonnellate all'anno. L'organizzazione di Cauchi, poi, si riforniva di cocaina dalla 'ndrangheta calabrese e di altre droghe sul mercato belga. Secondo le accuse del "pentito" Bernini, Stroppa e Smith si sarebbero occupati proprio di "fare le consegne" dal Marocco e dalla Calabria. Teo Stroppa era anche l'uomo incaricato di portare i soldi ai fornitori in Belgio e in Marocco, agli ordini di Cauchi. In particolare, gli emissari di Cauchi una o due volte l'anno sbarcavano in Marocco portando con se 2,4 milioni di euro in contanti. Raggiungevano Tetouan, nella valle del Ketama, partendo in auto da Tangeri. Qui avveniva lo scambio, i milioni di euro per tre tonnellate di hashish, che a Milano sarebbe poi stato rivenduto a duemila euro al chilo. Il valore del carico era quindi di sei milioni di euro. I due emissari venivano ricompensati "in natura", con droga per l'ammontare equivalente di sessantamila euro a viaggio.
Cauchi aveva messo in piedi un meccanismo complesso ma ben oliato per sfuggire all'attenzione delle forze dell'ordine. La droga veniva prelevata dall'organizzazione direttamente in Nord Africa e da lì trasferita in Liguria via mare a bordo di yacht di lusso dai nomi esotici: "Caffè del mar", "Elizabeth G", "Iceberg" e "Iris III". Una volta raggiunta la terraferma, la preziosa "merce" veniva caricata su auto e furgoni. Ma, ecco il colpo di genio, i mezzi non viaggiavano in direzione di Milano sulle proprie ruote, bensì venivano caricati su camion del soccorso stradale, fingendo che si trattasse di veicoli incidentati. Quale pattuglia volete che fermi un carro gru per perquisire il veicolo che sta soccorrendo?
Portata la droga a Milano, l'organizzazione la nascondeva in dei garage presi in affitto, occultando il carico dietro finte pareti di cartongesso. E infine, si occupava anche dello smercio al dettaglio di hashish e coca su tutto il territorio del capoluogo lombardo. Come dire che il gruppo capeggiato da Cauchi copriva tutta la filiera, dal produttore al consumatore finale.
Tra le altre cautele prese dall'organizzazione c'era anche l'uso di telefonini dedicati solo agli affari e a conversazioni tra affiliati, mai per telefonate private, come una specie di ricetrasmittenti. E infine l'uso di termini convenzionali per depistare eventuali intercettazioni: macchina al posto di barca oppure ristorante per dire ormeggio.
Il business ha funzionato per anni, permettendo a Cauchi di mettere da parte una "pensione" notevole. Della sua ricchezza si favoleggiava negli ambienti di mala milanese e l'ex socio "pentito" Bernini ha fatto cenno ad un tesoro nascosto dal capo, senza sapere indicare dove. Anche nelle conversazioni della compagna di Cauchi, intercettate dalla Squadra mobile di Milano, c'è traccia del gruzzolo, così ingente da poter "sistemare la famiglia per sette generazioni", dice la donna. Ma la perquisizione a casa di Cauchi e in quelle della mamma e del padre non avevano permesso di trovare nulla. Finché agli investigatori non viene l'idea di mettere a confronto l'interno degli appartamenti con le mappe catastali e si accorgono così che la camera da letto del padre Giuseppe è più piccola di quanto dovrebbe essere. In particolare, una parete è 40 centimetri più stretta di quanto riportato nelle mappe. Sfondando i mattoni forati, i poliziotti si sono trovati davanti 28 scatoloni contenenti banconote fruscianti: ben 15,7 milioni di euro. Il sequestro di contanti più importante mai fatto in Italia. Ora, però, l'impero di Cauchi sta cadendo pezzo dopo pezzo.