Valerij lo dice senza odio ma con la rabbia di chi sa di esser guardato come l'invasore. "La guerra c'è da otto anni, dove eravate fino ad oggi? Dove?".
E' nella cabina del tir carico di prosecco italiano in attesa di passare il confine a Terehova, l'ultimo lembo di Lettonia - ed Europa - prima di entrare in Russia: deve arrivare a Krasnodar, nel sud del Paese. Duemila chilometri, un giorno di viaggio, perché c'è da aggirare l'Ucraina. "E' la strada più veloce, guerra o non guerra", taglia corto. Terehova è un non luogo: la scritta 'Attenzione' in cirillico, lettone e inglese precede i quattro varchi doganali dietro i quali campeggiano la bandiera lettone e quella dell'Unione europea.
Ci si arriva dopo quattro ore di macchina da Riga durante le quali il panorama non cambia mai. Foreste, neve, fanghiglia ai margini della strada, case isolate e spesso deserte. Al valico ci sono solo camion, meno di cento in tutta la giornata. Ma la notizia è che dall'altra parte non esce nessuno. Nel senso letterale: in cinque ore, l'unica a mettere il naso in Lettonia è un'Audi nera. Fine. Il confine non è blindato. O meglio: non si vedono né militari né posizioni di controllo. Ma che ci sia tensione lo leggi negli occhi delle guardie di frontiera che, appena capito di avere davanti un giornalista, ti chiedono gentilmente ma senza possibilità di replica di allontanarti di un chilometro. Alla radio si sentono i notiziari russi e bielorussi.
E non c'è traccia della guerra: la prima notizia è sulle file per entrare nei due Paesi dalla Lettonia e dalla Lituania. Poi si passa ai voli cancellati a Istanbul per la neve e si chiude sul campionato di biathlon in corso in Russia a Ufa, la capitale della Repubblica dei Baschiri. In fila non c'è una donna e i camionisti sembrano indifferenti a tutto. Nikolaj, che è lettone e deve portare a Mosca un carico di "alcol" - dice così e ride - fa notare che "l'unica cosa che è cambiata è il costo dell'assicurazione del camion, per il resto non ci sono problemi". Beh, ci sarebbero le bombe e un'invasione. "A me la politica non interessa. Però ti dico che una settimana fa in Russia c'erano dieci chilometri di coda per uscire dal Paese, c'è chi ci ha messo anche dieci giorni". E ora non esce nessuno? "Fatti una domanda e datti la risposta". Lauris, lettone anche lui, ha un tir carico di soia e riesce a trovare anche un lato positivo nella guerra.
"Le file sono più corte. Oggi ci vorrà un giorno per passare, prima ce ne mettevo tre". Per uscire però anche lui conferma che è tutt'altra storia. "Dall'altra parte la fila era così lunga che per tornare sono passato dall'Estonia". I doganieri russi non li vedi. Si vede la bandiera della Federazione, quella sì. E i camion. Valerij, ma che pensi di questa guerra? "E' una cosa sbagliata, lo sapete anche voi che nessuno ha bisogno della guerra, né i russi né gli ucraini. Ma la guerra c'è da otto anni e ve ne accorgete solo ora, dove eravate?". Inutile provare a controbattere che questa è la versione del Cremlino e che i carri armati che hanno invaso sono russi. "Ma Putin non ha attaccato l'Ucraina - continua senza cambiare espressione - sta proteggendo i russi nel Donbass. Non ha invaso, sta andando ad aiutarli". Liev, che nel frattempo è sceso dal suo camion e ha ascoltato la conversazione, conferma.
"Da 8 anni i russi nel Donbass sono in guerra, li sta proteggendo". Li guardi e capisci che ci credono. Ma capisci anche che non la vogliono questa maledetta guerra. Zilupe è a 10 chilometri dal confine e la metà degli abitanti sono di origine russa: all'ingresso c'è il monumento ai caduti dell'Unione Sovietica. "Gloria eterna - recita la scritta sotto la falce e il martello - agli eroi partigiani che sono caduti in battaglia per la libertà e l'indipendenza della nostra patria nella Seconda guerra mondiale". Qui la guerra fa paura, certo. "Guardo la tv e piango, tutte le sere, tante persone muoiono e io non capisco perché, perché si debba soffrire così", abbassa la testa Tatiana mentre rimette a posto gli abiti invenduti nel furgoncino. Ma qui la guerra è un'altra cosa. E' la lotta per vivere. Da quando è scoppiato il conflitto un chilo di sale, che arrivava dalla Bielorussia e dall'Ucraina, è arrivato a 1,25 euro. Non c'è olio di semi e zucchero, la gente ha fatto scorte. "Da quando sono iniziate a cadere le bombe siamo ancora più poveri - dice sconsolato Jura guardandoti dritto negli occhi -. Non c'è lavoro, i giovani se ne vanno. Ma noi stiamo solo sopravvivendo". Ma hai paura che arrivi anche qui la guerra? "Non arriverà, abbiamo già la nostra...".