di Carlo Molinari
Un dato terribile e certo è che c’è la guerra (sperando si concluda il prima possibile) tra Ucraina e Russia, come c’è stata in Libia o c’è ancora in Afghanistan. Secondo i dati raccolti dall’ACLED (Armed Conflict Location & Event Data), un progetto di raccolta, mappatura e analisi delle crisi armate, negli ultimi anni sarebbero morte circa 193.000 persone in Africa, Asia e Medio Oriente.
C’è ancora guerra in Siria, Iraq, Yemen. Quasi in 50.000 hanno perso la vita tra il 2017 e il 2018 in Africa, dove la situazione è caldissima in molti paesi. In Somalia la guerra divampa da molti anni, senza mai arrestarsi: è terreno di Al-Qaeda e della milizia islamica al-Shabaab (Il Sole 24ore, n.d.r.). Quest’ultima continua a colpire obbiettivi militari e civili, senza fermarsi.
Anche in Nigeria continua una guerra e una carneficina senza sosta, da decenni, ad opera di Boko Aram e di altri gruppi. E poi ci sono guerre in Burkina Faso, in Mali, In Libia (dove persiste la guerra civile) e in Egitto (ugualmente conflitti civili), quindi Ruanda, Congo, Senegal... sono 31 (avete capito bene, trentuno) gli stati del Continente Africano dove sono in atto situazioni di guerra.
Come ho già ricordato, non è poi mai finita la guerra in Siria e Afghanistan, dove le vittime si contano a decine di migliaia e sono ora considerati i posti più pericolosi al mondo. L’Africa o l’Afghanistan non ci toccano però da vicino. Non hanno il gas e il petrolio che ci permettono di scaldarci, cucinare o raggiungere in auto il nostro posto di lavoro ogni mattina.
La guerra di Ucraina sì che esiste, ed è in Europa... almeno per ciò che concerne la divisione della Pangea nei vari continenti. La viviamo ogni giorno, in radio e in TV, ora che sono sparite d’incanto le notizie sulla pandemia. E l’Ucraina è a tre ore di volo dal nostro Paese, esattamente come molti paesi dell’Africa che, come ho detto, non ci fanno paura. Non hanno neppure l’atomica... probabilmente.
Un’altra cosa certa è che diverse migliaia di persone moriranno, o sono già morti, o stanno scappando da quella fornace; oppure sono (in parte e allo stremo) arrivati a destinazione, se destinazione può chiamarsi uno dei paesi europei che li sta accogliendo o li accoglierà, scarni, gelidi, impauriti e affamati. E magari ignari del perché la loro casa, la loro terra e il loro passato sono spariti all’improvviso dalla loro vita presente e forse futura.
La nostra guerra e la nostra ansia, nettamente più stupida, è rivolta al prezzo del gas e della benzina che, chi va in auto e non ha alternative per raggiungere il posto di lavoro lo sa, ha raggiunto e superato i due euro al litro... proprio come un decente vino sfuso. Il ragionamento sembra facile: dalla Russia arriva normalmente buona parte del petrolio e del gas... ora ne arriva poco o non arriva (e forse non arriverà più, anche se mi sembra difficile, a meno che non cambino improvvisamente rapporti e strategie finanziarie)... ergo costa di più!
Il concetto non è precisamente questo, purtroppo. Il primo motivo è che il petrolio che importiamo si basa sul prezzo del Brent, cioè il petrolio che viene estratto nel mare del Nord, che ha raggiunto 127 dollari al barile, una cifra enorme. Su questo la guerra tra Russia e Ucraina incide in minima parte. L’altro motivo è dato dalla decisione dell’ Opec (Alleanza tra 23 Paesi produttori, tra cui la Russia) di mantenere la produzione di greggio a 400.000 barili al mese (un barile corrisponde a 159 litri); quindi, meno se ne produce, più costa.
Il terzo e ultimo motivo è dato dalle accise, che non è un termine onomatopeico napoletano malaugurante, ma sono le tasse che il nostro Stato mette su tutto quello che abbiamo necessità di consumare, ad esempio sulla benzina. E seguiranno a ruota, è il caso di dirlo, i prodotti al dettaglio che arrivano dal trasporto su gomma... insomma, è una cascata di tessere di un domino gigantesco. Speriamo solo che intanto qualcuno metta una mano che possa fermare questa cascata di disastri e riconsegni ai popoli l’unica cosa che può dar loro pace: la pace!