di Mattteo Fiorciniti
Sono passati due anni dalla dichiarazione dello stato di emergenza in Uruguay dovuto al Covid 19. Tutto ebbe inizio in quel 13 marzo del 2020 caratterizzato dalla grande attesa. Sono stati due anni intensi vissuti a fasi alterne ma in modo abbastanza particolare rispetto al resto del mondo: pochissime restrizioni, pochissime chiusure e un green pass limitatissimo. Per molti l’Uruguay è stato un modello nella lotta al Covid perché è riuscito in qualche modo a mantenere la rotta evitando di affondare nel mezzo della tempesta che ci ha travolto.
“Libertà responsabile” è lo slogan scelto dal governo di Luis Lacalle Pou, insidiatosi pochi giorni prima dell’arrivo del coronavirus: suona come una frase di marketing (ed in effetti lo è) ma racchiude in sé uno spirito molto comune a questa società tollerante e democratica, liberale e aperta, al di là del partito di turno che si ritrova a governare. Non è un caso infatti che per il 72% degli uruguaiani la pandemia è stata gestita molto bene secondo un sondaggio realizzato da Equipos Consultores.
La pandemia ha attraversato fasi molto diverse in questi 2 lunghi anni: il 2020 è stato un successo incontestabile per un paese che senza alcun tipo di quarantena era riuscito a tenere a bada i contagi almeno fino alla fine dell’anno. Nel primo semestre del 2021 il contesto è stato molto diverso con la prima vera ondata, i morti e la sofferenza provocata. Aprile e maggio sono stati i mesi peggiori con, rispettivamente, 1.642 e 1.660 decessi causati dalla variante Delta. Seppur partita con ritardo rispetto agli altri paesi del Sud America, la campagna di vaccinazione è stata massiccia all’interno della popolazione che ha risposto all’appello delle autorità sanitarie senza le misure forti, senza la discriminazione verso i non vaccinati. Una lenta normalità si è imposta progressivamente dopo la somministrazione dei vaccini (prima Sinovac e poi Pfizer). Nel secondo semestre del 2021, con la fine del lavoro del Gach (Grupo Asesor Científico Honorario), la situazione è andata via via migliorando fino a far credere che ormai la partita era finita. L’avvento della variante Omicron ha invece imposto una nuova frenata, questa volta però molto diversa, molto più tenue: l’anno in corso si è aperto con il record di contagi schizzati alle stelle ma con pochissimi casi gravi. Questa seconda ondata che attualmente si sta esaurendo non ha lasciato particolari stravolgimenti in un paese ormai abituato a convivere con il Covid. I numeri ufficiali raccontano che le morti causate dal Covid sono state poco più di 7mila su quasi 865mila casi positivi.
A livello generale l’Uruguay ha retto abbastanza bene alla pandemia nonostante tutte le sue contraddizioni: il sistema sanitario ha retto, il governo ha lasciato ampia libertà ai cittadini, l’economia più o meno si è ripresa (anche se il governo ha fatto pochissimo) in attesa del nuovo scenario di guerra. In tanti altri ambiti però la pandemia ha avuto effetti devastanti le cui conseguenze si stanno facendo sentire ancora oggi. È il caso ad esempio della comunità italiana rimasta prevalentemente ferma e inattiva negli ultimi 24 mesi. Molto poche sono state le eccezioni rappresentante da alcune associazioni che hanno continuato a mantenersi attive nell’ultimo periodo attraverso enormi sacrifici. Per molti l’occasione per ripartire potrebbe essere data dalla “Festa che ci unisce Calabria celebra Italia” prevista per il 3 aprile e sulla quale c’è tanta attesa.
A una collettività ferma è seguita anche una rappresentanza ferma tanto da parte del Comites (in entrambe le gestioni) come da parte dell’Ambasciata con i servizi consolari che sono ulteriormente peggiorati. Ma come è successo in tante altre cose la pandemia, in realtà, è stata solo una scusa.