di Alessandro De Angelis
Formalmente il semestre bianco, ovvero i sei mesi in cui non si possono sciogliere le camere prima dell'elezione del presidente della Repubblica, è appena finito. Ma sostanzialmente è già ricominciato, e non perché ci sia alle viste un nuovo capo dello Stato da eleggere, o da rieleggere. C'è che il grande sovvertimento del mondo ha di nuovo cambiato tutto, con l'effetto, tra gli altri, di stabilizzare il governo come durata. Certo per tutta la fase del conflitto (speriamo breve), ma anche dopo, per fronteggiare le conseguenze della lunga crisi.
Anche quando finirà il rumore delle armi, gli effetti collaterali sono destinati a durare a lungo settimane, forse mesi, costringendo tutti a stare assieme, sia pur a malavoglia, in virtù di una nuova causa di forza maggiore.
E allora, mettetevi comodi (si fa per dire) perché proprio questo nuova "sospensione" della politica farà ripartire una nuova recita a soggetto, che prevede il povero Draghi in sala macchine, qualcuno tipo Enrico Letta che lo aiuta, altri che si accorceranno sul palcoscenico a favor di pubblico, senza però avere tanta fretta di sostituire il manovratore. Si fa presto a dire, come predica oggi Salvini che vanno tagliate le accise sulla benzina, cosa che predicava anche quando entrò nel Conte 1 senza poi essere conseguente. Ma se per caso toccasse a lui stare a palazzo Chigi non saprebbe dove mettere le mani per trovare i soldi perché le accise garantiscono un gettito di quasi trenta miliardi di euro. E non solo lui: chissà se è un caso che anche la Meloni, al netto di un po' di garbo repubblicano in tempi di guerra, abbia smesso di coltivare il retropensiero delle urne, godendosi la sua crescita nei sondaggi senza faticare più di tanto.
L'elenco dei dossier è di quelli da far tremare le vene ai polsi per l'oggi, a partire dal quarto pacchetto di sanzioni da applicare, e per il domani e dopodomani. C'è il problema delle industrie energivore in sofferenza - acciaierie, cartiere, fonderie, cantieristica - a seguito della scarsità e dell'aumento materie prime e il crollo dell'export sul lusso. Sarà lunga, perché i mercati avranno bisogno di tempo per normalizzarsi, come ai tempi del Covid. E poi il gas, che nell'immediato siamo stati costretti a rastrellare in giro per il mondo, dall'Angola dove è andato Di Maio all'Azerbaigian all'Algeria, ma non in Libia dove siamo scomparsi e assistiamo, da spettatori, a uno scenario di spartizione in aree di influenza, una filo turca l'altra filo russa egiziana. Ma in prospettiva si dovrà procedere a interventi più strutturali, ben oltre le misure adottate finora.
Si fa presto poi a dire "rinnovabili", che implicano costi e autorizzazioni. E così come per l'approvvigionamento all'estero del gas c'è un tema geopolitico – già: la riscoperta della geopolitica dopo la sbornia mercatista – per le riconversioni c'è un tema politico, di rapporto con i territori: la Sicilia che ha stoppato un parco eolico alle Egadi in nome della difesa dei "tesori archeologici" col risultato di aumentare la produzione di idrocarburi, nel paradosso in tempi di conversione green, la Puglia dove la regione è costretta a mediare per un parco nella costiera salentina, tra il decreto del governo e la contrarietà delle amministrazioni preoccupate dall'impatto visivo sulle sfumature di blu tra cielo e mare. E così via.
Facciamola breve. La fase è radicalmente cambiata, trascinandosi dietro le aspettative di chi pensava che, dopo il Covid, ci fosse la ripresa, il nuovo miracolo economico trascinato dal Pnrr e dunque un piatto ricco attorno a cui apparecchiare il grande ritorno della politica anticipando la festa del voto. E invece adesso, come ha detto Gentiloni, la crescita al 4 per cento non è più "un obiettivo realistico" e si affaccia l'ombra della "stagflazione", stagnazione economica e inflazione che divora i salari. Anzi, di Recovery ne servirebbe un altro, perché è chiaro che questa crisi se la deve mettere sulle spalle l'Europa, ma politicamente è tutto da negoziare ed è impresa più complicata rispetto al Recovery 1, perché allora si fondava su soldi in cambio di riforme, qui si tratta di definire le condizioni di partenza: durata, tipo di risorse (prestiti o a fondo perduto), cornici normative. E si tratta di definire le alleanze per arrivare all'obiettivo, tra Macron che è favorevole e Scholtz che è scettico e i frugali contrari.
Per il governo sarà un'impresa titanica varare una finanziaria "realistica", se non "severa", senza più quella capacità di spesa che soddisfi il grido di dolore delle constituency dei vari partiti, ma nessuno fermerà più di tanto per assumersi, al suo posto, una responsabilità che mal si concilia col consenso facile. Meglio lasciare i guai a Draghi, magari facendoci una bella campagna elettorale sopra. Insomma, è tornato un grande diversivo per una nuova recita a soggetto. Senza sarebbe stato più difficile rimanere tutti insieme.