L’Hellas Verona giocherà la prossima partita casalinga senza tifosi nella Curva Sud. Il Giudice sportivo ha punito i cori razzisti rivolti a Koulibaly e Osimhen nel corso dell’ultimo match contro il Napoli, ma non lo striscione fuori dallo stadio Bentegodi. Il riferimento, contenuto nello striscione, alle coordinate della città partenopea insieme alle bandiere di Russia e Ucraina aveva indignato il mondo del calcio e della politica. Il presidente della Camera, Roberto Fico, lo ha definito “uno striscione vergogna”.
Il Giudice sportivo ha quindi punito il Verona “per avere i suoi sostenitori intonato in più occasioni, per la quasi totalità dei tifosi assiepati nel settore interessato (nel numero di oltre 4000), vari cori insultanti di matrice territoriale nei confronti dei sostenitori della squadra avversaria, percepiti chiaramente in tutto l’impianto durante l’intero svolgersi della gara; per avere, inoltre, intonato, in percentuale comunque significativa dei tifosi del medesimo settore (pur non indicato espressamente nel primo caso dai collaboratori della Procura Federale ma ricavabile dal resto del rapporto) e comunque in numero tale (oltre 1600) da essere percepiti in tutto l’impianto, cori di discriminazione razziale ai danni del calciatore del Napoli n. 24 Koulibaly Kalidou al 34° del primo tempo al termine di un’azione di giuoco, e del calciatore del Napoli n. 9 Osimhen Victor al 9° del secondo tempo dopo che il medesimo si era accasciato sul terreno di giuoco per infortunio”.
LA GIUSTIZIA SPORTIVA PARTORISCE UN TOPOLINO
Non i soliti 10mila euro di ammenda. Stavolta il Verona dovrà sopportare l’onta di giocare una partita con una curva, la Sud, chiusa. A causa dei soliti cori “insultanti di matrice territoriale e razziale”, che gli uditori federali avvertono una gara sì e tre no, ma con una aggravante che il Giudice sportivo nel dispositivo non nomina mai: lo striscione della vergogna apposto fuori allo stadio Bentegodi che indicava agli eserciti russo e ucraino (come pari fossero) le coordinate per colpire eventualmente la città di Napoli.
La giustizia sportiva aveva già messo le mani avanti: lo striscione era fuori dal suo perimetro di pertinenza, non possono farci niente. Sicché, per placare l’indignazione dell’opinione pubblica, il giudice sportivo Mastrandrea ha trovato un altro modo: appellarsi ad una generica “gravità” del fatto per poter giustificare un aggravio irrituale della pena.
Ma la spiegazione è esemplare: in condizioni normali – è il sottotesto del dispositivo – quei cori sarebbero stati puniti con i 10mila euro a scatto fisso. Invece ora non possiamo cavarcela così: la situazione è tanto “grave” che la pena non può essere “sospesa”, e quindi chiudiamo la curva per una partita. Testuale: “La gravità dei fatti, la dimensione, durata e percezione dei detti cori comportano, nondimeno, la NON applicazione della sospensione dell’esecuzione della sanzione prevista ai sensi dell’art. 28, comma 7, C.G.S”.
Va da sé che i cori razzisti nei confronti di Napoli, e dei suoi giocatori di colore Koulibaly e Osimhen, sono da considerare “gravi” solo per lo scandalo pregresso, e non in quanto tali. Altrimenti non si spiegherebbero le decine di casi in cui la stessa curva, occupata dagli stessi tifosi famosi nel mondo per la loro aderenza agli ideali di estrema destra, in passato siano stati “puniti” con i soliti 10mila euro. Lo striscione non viene mai nominato, nella sentenza. Fa parte della scenografia, di un contesto nel quale il razzismo per la giustizia sportiva italiana vale – al massimo – una partita con un settore a porte chiuse.