"Per non parlare di Priamo: si fosse arreso subito, Troia sarebbe ancora in piedi. Agamennone mica c'aveva torto". Io ormai rispondo così, quando per parlare della guerra scatenata dalla Russia contro l'Ucraina (meglio scriverlo per esteso, con le parole al loro posto) si comincia ad andare all'indietro: Crimea, Donbass, Siria, Afghanistan. Oggi qualcuno su Twitter è arrivato a Dresda e Nagasaki, ma fra poco probabilmente giungeremo ad Austerlitz e forse persino a Lepanto. Basta aspettare. E allora anticipiamo e bruciamo le tappe, anzi bruciamo direttamente Troia.
In fondo gli elementi ci sono tutti: un pretesto scatenante (Elena rapita da quel gagà di Paride, e qui qualcuno obietterà che l'onore tradito era all'epoca causa e non pretesto, pure per dieci anni di guerra), una mobilitazione, come dire, tutt'altro che volontaria (come certi giovinotti russi convinti di "andare a fare un'esercitazione" e trovatisi a sparare sui civili ucraini), e poi dieci – dieci! – anni d'assedio di Troia, col presidente, ops, il re Priamo a fare discorsi motivazionali dagli spalti. E certo, mentre gli aedi cantavano in giro tutta la storia, c'era senz'altro qualcuno a dire: eh, quel Priamo, che voltagabbana con le Amazzoni – prima nemiche poi alleate – se l'è cercata! Uh, quel Priamo, con tutti quei figli, cinquanta o forse cento, tutti alla municipalizzata delle Porte Scee! Oh, però, quel Priamo, l'unico a dire che Elena non aveva colpa, e poi Troia aveva mire espansionistiche, l'avessero lasciata libera sarebbe arrivata in Sicilia, a dir poco...
E vogliamo parlare delle sanzioni? Gli dei, che poi avevano la colpa di tutto (che a Paride chi gliel'aveva promessa Elena? Quell'altra santarellina di Afrodite!), non facevano che bloccare navi e mandare tempeste e pestilenze e aizzare Standard and Poor's per abbassare, inutilmente, il rating degli Achei: omega omega omega.
Come vedete, c'è già tutto. E c'è soprattutto quello che non si vede: la morte di decine, centinaia, migliaia di soldati semplici, civili inermi, vittime per caso. La distruzione non solo delle grandi, ma delle minime economie umane: la casa appena costruita, il mulino, la vigna, il gregge. La distruzione delle famiglie: per ogni profugo (e qui duole constatare, ogni giorno di più, che non sono tutti uguali, non sono percepiti, da qualunque luogo vengano e da qualunque cosa fuggano, nella loro identica essenza: esseri umani sradicati, terrorizzati e soli) c'è un taglio e una voragine, un tessuto strappato. Ci sono decine di Enea con Anchise in spalla – lo abbiamo visto, fisicamente visto, di recente, il nuovo Enea, in una foto che ha girato il mondo: scappava da Mosul – , centinaia di Andromaca ed Ecuba, madri che hanno perso tutto e a volte pure i figli, migliaia di piccoli Ascanio. La guerra di Troia, in fondo, va bene come qualsiasi altra, perché di tutte dimostra e denuncia la devastazione universale e l'incertezza di categorie come "vittoria" e "sconfitta", quando i mondi bruciano. Ma non quella di categorie come "colpa" e "responsabilità", che continuano ad essere abbastanza chiare, per grazia degli dei, e tenendo sempre presente che nessuna colpa precedente ne alleggerisce un'altra e soprattutto nessuna aggressione sta sullo stesso piano di una difesa. E che "criminale di guerra" è nozione più vasta del perimetro disegnato dalle leggi.
Priamo, Agamennone, Achille, Ettore: ma non sarà che ci dimentichiamo ancora, dopo millenni, che quali che siano le loro colpe e responsabilità, e vittorie o sconfitte, saranno sempre i loro palafrenieri, e scudieri, e rematori, e braccianti, e le loro donne e bambini ad avere perso, sempre vittime di crimine di guerra? E pensiamo una volta di più che l'unica guerra onorevole sarebbe quella per non combatterne nessuna, mai, per conto di nessuno.
E se ci vorranno anni e immense quantità di denaro per riparare città, territori ed economie, leggendo Omero abbiamo la certezza che ci vorranno comunque millenni per riparare l'umano, e no, ancora non bastano.