DI FRANCO MANZITTI

Scrivo su questo giornale perché è come se arrivassi dall'altra parte, a Montevideo, a Buenos Aires, sulle acque del Rio de La Plata, pieno di vele, di barche, in quello spettacolo meraviglioso quando atterri dal cielo.

Scrivo da questa Genova, chiusa tra le sue colline erte e secche, le sue architetture alte intorno ai "caruggi" e quel grande porto che ha sempre lanciato le sue navi in ogni direzione, ma soprattutto, per me, verso quell'America del Sud.

Ricordo bene quelle navi, così diverse da oggi, eleganti, con uno o due fumaioli, lo scafo o bianco o nero, la prua ardita. Ricordo quei viaggi per attraversare l'Atlantico e poi scendere in giù, Rio, Santos, il golfo della Catarina e poi il Rio della Plata , appunto, le sue acque gialle.

E' un grande pezzo della nostra terra dall'altra parte del mare, lontano, ma vicino, perché è come arrivare a casa. Il ponte del giornale, di questo giornale, accelera tutto, avvicina tutto, perché questo è lo spirito, questa è la missione di tenere insieme, due mondi che sono lo stesso.

Le mie radici sono anche lì, in una grande famiglia che vive tra Baires e l'Uruguay, i Preve, il nome di mia nonna, la storia di un viaggio che ha portato lì i miei antenati, a lavorare, a fare impresa, a integrarsi in quell'altro mondo.

Quello che il papa argentino Francesco ha definito "il mondo alla fine del mondo". "Alla fine" perché laggiù, sempre più giù, si potrebbe pensare che la terra finisce nei ghiacci, negli arcipelaghi fantastici delle isole, dei promotori, degli istmi, degli stretti , nel vento gelido, nel mare scintillante di bianco e blù.

E invece a me quella terra in fondo è sempre apparsa come la continuazione degli orizzonti sconfinati dell'Argentina, la pampa, la Cordigliera, di tutti i colori, i grandi fiumi, quel Paranà che sembra un mare e poi si stringe e arriva a fare il suo estuario: di qua Baires, di là Colonia e Montevideo.

Mi incantavo da ragazzo a osservare quegli spazi immensi, così più larghi dei miei "caruggi", delle strettoie di una terra scoscesa, piena di paesi arrampicati. E mi sentivo a casa di qua e di là, come deve far sentire questo giornale, perché questo è il suo spirito, la sua forza, la sua testimonianza quotidiana, che tiene insieme , appunto, "la Gente d'Italia".

Duro di questi tempi mantenere quel ponte, far vivere il giornale, lanciarlo da una parte all'altra. Eppure questa è la sua forza, che si alimenta un po' nella nostalgia delle antiche canzoni, "Ma se ghe pensu", scritta per mantenere quel filo di amore e memoria, un po' nella percezione delle radici comuni.

Qua, proprio a ridosso del grande porto, stanno per inaugurare un grande Museo dell'Immigrazione, nel quale ci saranno tutti i nomi dei milioni di italiani, circa 14 milioni, che sono partiti da queste banchine e hanno scelto di venire a vivere di là, tentando la fortuna, spesso trovandola. A cominciare dai nomi dei genitori del papa argentino Jorge Bergoglio, imbarcati a Ponte dei Mille.

E' anche questo museo un ponte indistruttibile, di memoria, ma anche di dati, di navi, di equipaggi, di grandi storie comuni. Che incominciano qua e continuano là e magari tornano indietro.