di Lucio Fero
Tutti petainisti? Molta, massima parte del ceto dirigente francese non seguì De Gaulle in Gran Bretagna nel 1940 e invece restò, provò ad accomodarsi pacificamente con l’invasione tedesca. Non erano tutti culturalmente e politicamente petainisti quando scelsero di restare (il maresciallo Petain guidò e incarnò poi il governo francese filo nazista). La minuziosa ricostruzione storica incastona quel che accadde in una battuta: no, restarono non perché tutti petainisti ma perché troppo legati ai loro mobili preziosi e intrasportabili, ai mobili, suppellettili e arredi delle loro distinte magioni. Fu petainismo…d’opportunità. Anche se poi il puntare sulla carta della pace condividendo il mazzo con Hitler…
Putiniani d’opportunità - Sono, alla stessa stregua di molto ceto dirigente francese nel 1940, putiniani d’opportunità non pochi italiani oggi. Quelli del diamoci quel che vuole, magari non tutto, un pezzo d’Ucraina, in fondo che ci costa? Quelli del Putin e la Russia ci danno il gas, siamo realisti! Quelli che puntano sulla carta della pace condividendo il mazzo con chi già bombarda, invade, conquista, fa la guerra e la dichiara santa.
Putiniani di…necessità - Nel paese, il nostro, che ha istituzionalizzato l’abusivismo edilizio perché abusivismo di…necessità! Nel paese che ha istituzionalizzato la massima tolleranza per l’evasione fiscale perché evasione di…necessità! Nel paese in cui ogni norma e regola di collettivo interesse è relativizzata e comunque seconda al primario interesse e valore della licenza individuale…in un paese così è naturale via sia oggi putinismo di…necessità! E il putinismo di necessità, se messo in condizioni di realmente scegliere non ha dubbi: la pace, lo stare in pace vale più della libertà e dello stare liberi. Il benessere valore e condizioni intoccabili e secondi a nessun altro valore. Di conseguenza, dare se non qualche ragione di certo qualche soddisfazione a chi spara perché…spara!
Il putinismo di necessità: comprensibile, umano, in certa misura inevitabile e perfino in qualche modo onesto nella sua pragmaticità. Alla sola, elusa, condizione di non presentarsi come cattedra e pulpito di doverosa “complessità” o come istanza etico storica. Se vuoi dare a Putin ciò che di Putin non è e se lo vuoi fare per non compromettere la qualità e la quantità di benessere nella tua vita, è osceno e bugiardo che questo si mascheri dietro il fatto che Caino sì, ma anche Abele lo aveva provocato…
Putiniani di vanità - C’è nel mondo della comunicazione latamente intesa (comprende politica, spettacolo, giornalismo e altro) un mestiere fiorente e florido di successi, carriere, fortune. Il mestiere del “lo dico strano”. Strano in che senso? Strano a prescindere. Lo dico al contrario. Al contrario di quel che dicono gli altri? No, al contrario e basta, sempre al contrario. E più questo “contrario” è sbilenco e storto e più lo grido. Ci si fanno carriere, si incarnano ruoli, anche sociali. Di solito sono parti fisse. Prendete una Elly Schlein, la frase “la pace non si fa con le armi” è fissa in ogni momento della sua vita intellettuale e della sua pubblica biografia. Fissa come immobile era la volta celeste prima e senza che qualcuno la osservasse con scienza e conoscenza. Fissa la frase, fisso il ruolo. Il ruolo di chi più di ogni altra cosa ama e idolatra se stesso, fino al punto di non stimare se stesso abbastanza. Una testa incapace di misurare e rapportare la propria identità di ruolo alla realtà.
La pace non si fa con le armi? E la pace che Elly Schlein vuole sia fatta qui e oggi con Putin, Putin con cosa se l’è fatta se non con le armi? Ma le tante Elly Schlein d’Italia hanno una parte fissa da incarnare e ne sono invaghite dalla parte: è putinismo di vanità. Al Bano, uomo semplice e non i raffinati messaggi: ho cambiato idea, come si fa oggi a non cambiare idea su Putin, in Russia a cantare non ci vado più. Al Bano riconosce e pratica l’imperativo etico del discutre se stesso, Elly Schlein no: se mezzo Al Bano vale dunque sul piano morale più di mille Elly Schlein…