di Matteo Forciniti
Prima ancora dell’apocalisse del 2017 e della drammatica ripetizione di oggi nel mancare la qualificazione ai Mondiali per la seconda volta consecutiva, il punto più basso del calcio italiano era stato raggiunto nel lontano 1958.
Il primo e clamoroso fallimento azzurro ci riporta indietro nel tempo a un calcio molto diverso rispetto a quello di oggi. In comune c’è la maledizione del Nord che campeggia sui nomi delle nazionali che ci hanno condannato all’inferno impedendoci di raggiungere il torneo più importante del mondo: oggi è la Macedonia, in passato fu l’Irlanda.
Nella partita di Belfast per le qualificazioni del 1958 c’erano in campo anche due dei migliori calciatori della scuola uruguagia: Pepe Schiaffino e Alcides Ghiggia, i due oriundi passati in poco tempo da salvatori della patria a colpevoli del disastro.
Il primo un regista visionario -“El dios del fútbol”- che incantava per la sua eleganza; il secondo un’ala destra dal dribbling raffinato e micidiale sia sulla fascia che in area di rigore. Entrambi furono gli eroi del Maracanazo nel 1950, con i loro gol consegnarono il titolo mondiale all’Uruguay in un’indimenticabile impresa. Durante gli anni della permanenza in serie A entrambi vennero naturalizzati italiani e giocarono in nazionale nel periodo dell’apertura agli stranieri di origine italiana.
Sull’effettiva discendenza italiana, tuttavia, i casi dei due calciatori sono alquanto diversi: nel caso di Schiaffino fu sempre certo, grazie al nonno paterno Alberto, un macellaio ligure di Camogli. Per Ghiggia invece la stampa dell’epoca sollevò diversi dubbi sulle “misteriose origini liguri”. In ogni caso in maglia azzurra i due fuoriclasse giocarono insieme solo 3 partite senza mai lasciare un grande ricordo. La prima fu un promettente 3 a 0 contro il Portogallo nel girone di qualificazione che generò grande speranza tra i tifosi. Poi però ci pensò l’Irlanda del Nord a spegnere tutti i sogni italiani dei due fuoriclasse di Milan e Roma.
L’incontro di Belfast per le qualificazioni era originariamente programmato per il 4 dicembre dell’anno precedente ma venne posticipato per il mancato arrivo della terna arbitrale bloccato a Londra dalla nebbia.
Quel 4 dicembre il clima si fece abbastanza pesante e ci furono anche molti incidenti ad opera dei tifosi irlandesi. Le versioni su quella giornata sono diverse: gli irlandesi non volevano rinviarla di un giorno poiché molti dei loro giocatori dovevano rientrare in Inghilterra per giocare nei loro club il sabato successivo. L’Italia si rifiutò di giocare la partita con l’arbitraggio di una terna locale o almeno questa fu la versione ufficiale raccontata dagli altoparlanti dello stadio. Secondo altre fonti giornalistiche fu il commissario della Fifa a negare l’autorizzazione per lo svolgimento della gara senza l’arrivo del signor Zsolt. Per queste ragioni la partita del 4 dicembre fu giocata come un’amichevole e finì con il risultato di 2-2. Segnò anche Ghiggia, unico centro in maglia azzurra praticamente dimenticato. Paradossalmente, se l’Italia avesse accettato l’arbitraggio della terna locale, questo pareggio le avrebbe garantito la qualificazione in Svezia, nel campionato in cui il mondo conobbe la leggenda di Pelè.
La partita vera e propria comunque venne disputata il 15 gennaio del 1958. All’Italia bastava solo un pareggio per accedere alla fase finale di quella che allora si chiamava coppa Rimet. Al Windsor Park fu un disastro clamoroso con la sconfitta di 2 a 1 ad opera dei padroni di casa. Due i principali colpevoli per la stampa e i tifosi: il modulo troppo offensivo e, soprattutto, gli oriundi. Due questione legate tra loro.
Il commissario tecnico Alfredo Foni, raffinato tattico e precursore del difensivismo, per una volta decise di cambiare le carte in tavola e schierare una formazione molto offensiva: tre punte (Ghiggia, Pivatelli e il brasiliano Da Costa), una mezzapunta (l’argentino Montuori) e un regista (Schiaffino) che difendeva molto poco. Per la fama e la traiettoria, tra i quattro oriundi sudamericani in campo quel giorno le maggiori aspettative erano proprio sui due talenti uruguagi, un po’ avanti con l’età ma pur sempre campioni affermati. Per Ghiggia fu ancora peggio: venne espulso al 68esimo per un fallo di reazione ai danni del terzino McMichael che lo stava torturando dall’inizio della partita.
Dopa la sconfitta iniziò una caccia alle streghe. A finire sul banco degli imputati furono soprattutto gli oriundi accusati di avere poco attaccamento alla maglia. Lo fece capire esplicitamente anche il presidente della Federazione Ottorino Barassi intervistato dal giornalista Alfeo Biagi di Stadio accusando Fiorentina e Milan di incoraggiare la politica degli oriundi: “Per ricostruire la Nazionale bisognerà puntare sui giovani, buttando a mare quella zavorra che ci portiamo appresso da tempo”. La zavorra erano appunto i sudamericani, tenacemente voluti da Giuseppe Pasquale, rivale di Barassi per il controllo della Federazione. “Ci sono infatti delle situazioni che non mi hanno mai trovato consenziente. Schiaffino, ad esempio, gioca in nazionale per un cumulo di motivi che non tutti conoscono. Spuntò improvvisamente a Roma contro l’Argentina quando nessuno se lo aspettava. Il dottor Pasquale, evidentemente per favorire i dirigenti del Milan, fece in modo che ci si trovasse di fronte al fatto compiuto. Milan e Fiorentina sono le due società che più assillano la Federazione con le loro pretese. Sono stati questi favoritismi che ci hanno costretto a venire a Belfast in una data così avanzata perché bisognava attendere che scadessero i tre anni di permanenza di Schiaffino in Italia, come da regolamento internazionale, per poterlo schierare in nazionale”.
Le dichiarazioni di Barassi fecero scalpore e provocarono serie conseguenze nei mesi successivi. Ferocemente criticati, gli oriundi diminuirono progressivamente la loro presenza in nazionale. Schiaffino diede l’addio dopo la disfatta di Belfast. Ghiggia collezionò solo un’altra presenza in un’amichevole contro la Spagna l’anno successivo. Il primo fallimento della storia del calcio italiano si portò via anche gli eroi del Maracanazo.