C'era una volta la destra italiana che si accendeva per lo scontro di civiltà tra Occidente e mondo islamico, sostenendo l'interventismo in Medio Oriente, dalla guerra in Afghanistan post 11 settembre, a quella in Iraq che portò alla rimozione di Saddam, fino agli anni Dieci delle "primavere arabe" e del terrorismo jihadista di matrice Isis, con gli attentati in Europa, a Parigi, Berlino e Nizza. Se assistevi al dibattito pubblico di quei lunghi lustri, era la destra la principale fautrice delle teorie sulla minaccia rappresentata dall'Islam – che, secondo quella parte politica, non poteva essere moderato in nessuna forma, e ci aveva dichiarato guerra perché odia le libertà civili e la democrazia, essendo incapace di concepire alcun sistema al di fuori dalla teocrazia fondamentalista basata sul Corano.
Non nascondiamo che non tutti gli esponenti della destra italiana di allora, ancora oggi largamente presente in Parlamento e nel governo, sposavano testualmente quelle narrazioni; ma ricordiamo tutti bene che bastava condividere "la rabbia e l'orgoglio" di Oriana Fallaci per essere idealmente arruolati in quella parte, mentre la sinistra moderata assecondava la de-escalation verbale più con l'afonia che con le idee, e quella estrema sfociava nell'opposto dell'anti-americanismo militante, finendo col trovare indirettamente una "ragione" – oggi magari, più sgamati, direbbero à la Travaglio che "spiegare non è giustificare" – perché prima Al Qaeda e poi l'Isis odiassero tanto gli yankees.
Ecco, quel mondo di visioni del mondo, perdonate il gioco di parole, oggi appare completamente ribaltato, e rivela sorprendenti e ben strane saldature tra la destra ex bellicosa e il pacifismo da piazza. Con l'ingiustificabile e, diciamolo senza paura di contraddirci, inspiegabile aggressione e invasione dell'Ucraina da parte della Russia dell' "amico Putin" (di Silvio), la destra italiana è balbettante e imbarazzata. Il nuovo leader dello schieramento, ma non l'unico oggi, Matteo Salvini, ha trascorso gli anni del sovranismo furioso indossando magliette di Putin e incoronando pubblicamente il presidente russo come "uno dei migliori uomini di governo che ci siano sulla faccia della Terra". Ma non è per coerenza personale (soltanto) che il capo della Lega trova oggi così difficile pronunciare la parola Russia per condannarla, tanto che qualche volta sono stati i cronisti stessi a suggerirgliela come provocazione, per stuzzicarlo.
No, il vero motivo è che la destra italiana, negli ultimi vent'anni, ha sempre lucrato sui valori non negoziabili dell'Occidente, utilizzandoli come mero feticcio retorico, come bandiera puramente astratta, senza mai difenderli davvero, anzi senza nemmeno crederci. Gli conveniva, allora, utilizzare la "minaccia islamica" come cemento della propria identità, che oggi si manifesta in tutta la sua nuda traballante realtà. Sia Berlusconi all'epoca, che i suoi fedelissimi, che Salvini, pochi anni fa, hanno cavalcato l'anti-islamismo proprio perché – lo si capisce bene adesso - non lo ritenevano un vero pericolo per la nostra libertà e per il nostro modello di vita, bensì un assist per ancorare la destra italiana a una tradizione cristiana reazionaria, nella speranza forse di più ampie alleanze europee tra movimenti popolari (con Le Pen e Orban). Ed è anche per questo che hanno sempre guardato a Putin come a un modello ("l'uomo forte" che forse speravano essi stessi di diventare), nonostante fosse al mondo intero arcinoto che l'ex capo del Kgb già facesse strame della libertà nel suo Paese, eliminando i dissidenti e irrigidendo la Russia in un'autocrazia sfociata oggi nello stato di polizia pienamente fascista.
Non hanno mai creduto davvero nella democrazia al punto da difenderla dai veri nemici, che loro scambiavano per, e forse ancora nel segreto considerano, amici. Così, oggi, con l'Occidente mai tanto in pericolo dal dopoguerra, sia militarmente che economicamente per l'enormità dei cambiamenti cui è chiamato in tempo zero, a partire dall'energia, la destra italiana a guida Salvini, al di là delle più scontate dichiarazioni di condanna, trasuda equidistanza in tutte le occasioni e in tutti i consessi, forse specchiandosi in una opinione pubblica che purtroppo sembra essere molto più filorussa di quanto non piaccia pensare (o forse è soltanto spaventata dalla possibilità di una terza guerra mondiale?).
Quando la guerra si fa vicina, la destra si scopre pavida, senza rabbia e senza orgoglio, fino a saldarsi - apoteosi delle contraddizioni se solo avessimo provato a immaginarlo qualche mese fa - col mondo arcobaleno e Cgil, nelle titubanze quando non nelle aperte opposizioni all'invio delle armi di difesa all'Ucraina.
E la difesa della "sacra Patria", che la destra dovrebbe avere tanto a cuore? Perfino Meloni, all'opposizione del governo, sembra (un filo) più occidentale di Salvini, almeno lei schierandosi apertamente per il diritto del popolo ucraino di difendersi dall'aggressore russo. Salvini preferisce invece pregare, sì letteralmente pregare in favore di telecamere ad Assisi, non restandogli altro appiglio che quella religione tanto ostentata tra rosari e bibbie nei comizi, da risultare per lui feticcio.
E così la parabola della destra italiana e in particolare della Lega di Salvini si conclude, gagliarda ai limiti del razzismo contro il mondo islamico e codarda con la Russia, immemore di richiamarsi nel simbolo a un "eroe" che simboleggia la sconfitta di Federico Barbarossa l'invasore nella battaglia di Legnano. I valori di libertà, democrazia, sovranità territoriale usati come bandiere quando è comodo e tutto sommato non così difficile; e diventati improvvisamente negoziabili quando cade la maschera del sovranismo dalle simpatie autoritarie.