di Gianni Riotta
“Per l’amore del Cielo, quest’uomo non può restare al potere!”: definendo il presidente russo Vladimir Vladimirovic Putin “un macellaio”, durante la sua missione in Europa, il presidente americano Joe Biden ha alzato lo scontro diplomatico tra Washington e Mosca a un livello mai registrato dai giorni della Guerra Fredda, quando il leader del Pcus Nikita Kruscev inveiva “Vi seppelliremo!” e il presidente Ronald Reagan definiva l’Urss “Impero del Male”.
Un reporter veterano del quotidiano Washington Post commenta: “Ho coperto per anni Biden, al Senato: il terrore dei suoi collaboratori era la frase a braccio con cui chiudeva i discorsi!”. E il Segretario di Stato Anthony Blinken ha subito puntualizzato che gli Stati Uniti non propugnano un cambio di regime in Russia, mentre la Casa Bianca si è affrettata a precisare: “Il presidente vuol dire che Putin non può imporre il suo potere sui paesi della regione. Non discuteva del potere di Putin in Russia, né di un’alternativa di governo”.
Sia una delle classiche improvvisazioni di Biden, come fonti Usa confermano all’Huffington Post, ricordando “a Washington si parla di gaffe quando qualcuno, senza volerlo, dice la verità fuori dai comunicati ufficiali”, che in passato gli han creato guai, o una mossa studiata, il discorso di Varsavia segna gelo tra le due potenze. Il presidente francese Macron bacchetta la Casa Bianca deprecando “l’escalation delle armi e delle parole”, ma anche nell’establishment americano non pochi dissentono da Biden. Richard Haass, autorevole presidente del Council on Foreign Relations ed ex sottosegretario di Bush padre, scrive via Twitter: “Sí, Putin è un macellaio, ma non mi è chiaro come la dichiarazione di Biden serva ai nostri interessi nazionali, rischia di chiudere, o complicare, gli sforzi diplomatici per finire la guerra (priorità numero uno), per non dire delle future trattative con Putin su stabilità nucleare, Iran, Nord Corea, Siria…se rischiamo di espandere la nostra strategia al cambio di regime a Mosca. Sarebbe certo desiderabile, ma non è nel nostro potere ottenerlo, con il rischio aggiuntivo di spingere Putin ad accelerare, alzando le chances che bocci ogni compromesso e scommettendo sull’escalation. C’era l’impressione che la Russia stesse riconsiderando gli obiettivi in Ucraina. Strano momento, dunque, per alzare gli obiettivi Usa, se non crediamo davvero in un cambio al potere in Russia. Altrimenti sembriamo irruenti o controproducenti. E la smentita della Casa Bianca non funziona. Putin vede confermate le sue idee. Una pessima, indisciplinata, uscita, che rischia di aumentare bersagli e durata della guerra”.
Il dibattito in America non è da “pensiero unico”, come blaterano i nesci. Al contrario è apertissimo e lo stesso ex presidente Donald Trump, dopo avere applaudito l’invasione di Putin come l’atto di “un genio”, apprende che la stragrande maggioranza degli elettori repubblicani simpatizza con l’Ucraina e cambia rotta: ora accusa Biden di essere troppo tenero con il Cremlino, spiegando che se fosse alla Casa Bianca userebbe mano dura in campo.
Come i lettori noteranno, ogni giorno porta novità storiche e così sarà a lungo anche se, secondo l’intelligence sul flusso dei dati online condotta da Luiss Data Lab e Idmo, già l’attenzione dell’opinione pubblica si rarefà. Unico suggerimento è ignorare il profluvio di opinioni, giuste, sbagliate, comprate e vendute, snob, colte, nobili o originali che siano, e restare a fuoco sui fatti, che mutano di ora in ora.
Il titolo, a parte la sortita di Biden le cui conseguenze valuteremo presto, va al dilemma strategico che affligge Putin e i suoi generali in Ucraina. La spedizione russa, comprese le Armate XXII e LVI, le migliori in campo con l’obiettivo di accerchiare l’esercito ucraino a sud ed est di Kiev, sembra avere raggiunto quello che il generale prussiano von Clausewitz, teorico della guerra, definisce nel capitolo 5, libro 7, del capolavoro “Della Guerra”, Mondadori, “il punto culminante dell’attacco". “Il successo di un attacco - spiega Clausewitz - dipende dalla presenza di una forza superiore, sia fisica che morale. La potenza di un attacco…si esaurisce poco a poco, in rari casi aumenta, per lo più scema. Chi ha l’offensiva spinge, nella speranza di avere un vantaggio nelle trattative di pace, ma paga sul campo con il dispendio del proprio esercito. Se il dominio di chi attacca, malgrado queste perdite quotidiane, si mantiene fino al momento di siglare la pace, l’obiettivo della vittoria è raggiunto. Ci sono offensive strategiche che portano alla pace immediata, ma son rare. Di solito, al contrario, le forze all’offensiva declinano, costrette alla fine a difendersi e aspettare la pace. Qui la bilancia gira, arriva la reazione e la violenza del contrattacco è, tradizionalmente, molto maggiore del primo colpo sferrato. Questa fase definiamo punto culminante dell’attacco. Bersaglio di una offensiva è occupare il territorio nemico e dunque si deve avanzare finché la propria superiorità non si esaurisca…se meditiamo sulle variabili dell’equazione che compone le forze in azione, comprendiamo quanto difficile sia, in molti casi, valutare quale dei due rivali abbia dalla sua la forza. Spesso tutto è sospeso al filo di seta dell’immaginazione”.
Non inebriatevi allora, come i faciloni, al bailamme di tv e social media, studiate l’equazione delle forze in campo e tessete il filo di seta dell’immaginazione. Questa è l’equazione che rende le notti insonni allo stato maggiore del presidente ucraino Volodymyr Zelensky e ai generali di Putin. Osserva Kane Tomlin, ex marine ora docente di cybersecurity, l’intelligence occidentale, ufficiale o aperta, Osint, ha già destabilizzato i russi e perfino la “gaffe” di Biden potrebbe sbilanciarli ulteriormente. Perché, conclude Michael Mooney, ex colonnello dei Marine, adesso docente di strategia al U.S. Naval War College, “benché il destino di questa guerra sia ben lontano dall’essere deciso - molto potrà andare male per il popolo ucraino, e probabilmente andrà male - il leader russo non ha colto un punto, che potrebbe alla fine sconfiggerlo”, vale a dire che, come annotava lo stratega inglese H.L. Liddell-Hart, “in guerra la variabile più incalcolabile è l’umana volontà” . Clausewitz concordava: “Per battere il nemico si deve contrapporre il proprio impegno alla sua capacità di resistenza”.
Gli Alleati hanno battuto Giappone, Italia e Germania con un impegno superiore alla resistenza dell’Asse, così gli afghani hanno battuto Urss e Usa, i vietnamiti l’America, e la stessa, ferrea, ragione ha determinato vittorie e sconfitte di Alessandro, Roma, Napoleone e ogni altro condottiero. A questo filo di seta siamo appesi, tessuto dall’imprevista capacità di sofferenza degli ucraini. Il bla bla gettatelo nella spazzatura della storia, spazio non riciclabile.