di Juan Raso
Il mio nipotino questa settimana mi ha chiesto che gli indicassi due o tre fatti straordinari del secolo XX, perché la maestra aveva proposto un compito sull’argomento. Gli ho parlato dello sbarco sulla luna, l’avvento della televisione e la scoperta di tante medicine che ci hanno salvato da malattie terribili.
Questa mattina mi sono ricordato che non gli ho detto che il lavoro, proprio il fatto di lavorare é stata una delle cose piú straordinarie del secolo scorso. Ma come spiegarglielo, come fargli capire che lavorare in una fabbrica o alla macchina da scrivere di un ufficio o guidare l’autobus era la via per trovare il nostro posto del mondo e in qualche modo raggiungere un senso di felicità.
Il lavoro – ieri, come oggi – non é soltanto una occupazione per ottenere un guadagno o percepire un salario: il lavoro é il miglior modo per identificarsi nella societá. Quando diciamo ad un amico o una amica, che nostra figlia si é fidanzata, la prima domanda che ci fanno, é: lui che fa, in cosa lavora? Lavorare, avere un lavoro degno da senso alla nostra identitá. Al contrario – e come ripete il caro professore Umberto Romagnoli – “chi non lavora, non é”.
Nel secolo XX, il lavoro dava senso alla nostra esistenza. Medico, postino o portiere, tutti avevamo un ruolo ben definito: curavamo la gente, portavamo le notizie in una bella sacca di cuoio o avevamo il compito di custodire l’edificio con tanto di alloggio propria. Oggi i medici sono sotto stress per il pluri-lavoro e corrono di qua e di lá, i postini sono stati sostituiti da ryders precari, che distribuiscono buste con fatture o pubblicitá, perché le notizie importanti le inviamo per email o whatsapp; e gli edifici si costruiscono senza una abitazione per il portiere, perché questa funzione sta scomparendo, per dar luego a schermi con immagini di portieri virtuali.
Inoltre nel secolo XX il lavoro - se ci comportavamo bene - ci accompagnava durante tutta la vita. Ci dava un senso di stabilitá, aspiravamo a migliorare la nostra posizione, la disoccupazione era eccezionale e alla fine della carriera, ricevevamo la pensione quasi fosse un premio per il lavoro svolto. Immaginate che in Uruguay la pensione di chiama “jubilación”. E sapete perché? Perché andare in pensione era motivo di “giubilo”, di felicitá, di poter finalmente godere un meritato riposo dopo tanti anni di sforzo.
Questo era il lavoro nel secolo scorso. Oggi – e salvo eccezioni che sempre esistono – il lavoro é ogni volta piú connettato con la precarietá, la discontinuitá, la tanto temuta disoccupazione. Facciamo fatica a sommare anni di contributi previdenziali, perché saltiamo da un lavoro all’altro e nel mezzo vi sono periodi di lavoro in nero, tempi alla ricerca di un lavoro che ormai non esiste, e in molti casi “lavoretti” fuori dal circuito formale del lavoro, mentre la previdenza sociale fa acqua da tutte le parti.
Nel secolo scorso proprio il lavoro ci permetteva scappare da casa ai vent’anni con la nostra compagna, che subito sposavamo, perché cosí era in uso. Oggi i giovani entrano ed escono dalla casa dei genitori, provano a formare una coppia (molte volte tanto precaria quanto il loro lavoro) e tornano alla casa paterna, perché non sanno dove andare a vivere. Avere 30 o anche 40 anni e vivere con i genitori é ormai una situazione molto comune. Pochi vanno via da casa, perché per farlo é necessario avere un lavoro stabile, che consenta di formare una famiglia solida.
Senza generare lavoro e quindi senza offrire occupazione, i nostri politici sono obbligati a promettere sussidi e assicurare un reddito misero garantito anche a chi non lavora. Ma né il sussidio né il reddito daranno mai “identitá” alla persona, perché come ho detto, “chi non lavora, non é” anche oggi, nel secolo XXI.
Questi appunti avrei voluto dare al mio nipotino, ma non credo che avrebbe capito. Anzi, forse avrebbe pensato che sono fantasie del passato pensate da qualcuno che é nato e cresciuto in un mondo senza internet e che quindi delle cose del secolo XXI non ne capisce molto. Speriamo comunque che, almeno lui, un lavoro lo trovi in questi tempi in cui i robots diventano piú affidabili che le persone.