Putin vuol dire bavaglio ai cronisti. E anche morte. Giro di vite al Cremlino. Siti oscurati, quotidiani online come “Meduza” o “BBC Russia” cancellati.
Al bando anche il giornale del Nobel per la pace Dmitry Muratov. Decisione recente. Da lunedì 28 marzo Novja Gazeta, l’ultimo baluardo della libera stampa in Russia, cessa la pubblicazione. Si è auto sospeso. Dopo aver ricevuto il secondo avviso di infrazione della legge da parte di Roskomnadzor (l’agenzia statale per il controllo dei media), il quotidiano ha tolto il disturbo.
Ha già dato. Negli ultimi vent’anni ha visto uccidere 6 suoi giornalisti tra cui Anna Politkovskaya, assassinata nel 2006 per le sue scomode critiche a Putin. Anna era nata a New York da due diplomatici sovietici di origine Ucraina. Fatali i suoi reportage dai campi profughi della Cecenia le sue unghiate sul fallimento politico nel Caucaso settentrionale.
Quando va bene c’è l’espulsione, sennò è pronto il veleno o il sicario. La lista degli indesiderati è lunga. Tre nomi illustri su tutti, tre scrittori: Solzenicyn, Nabokov, Solokov. Il primo con “Arcipelago Gulag” ha fatto conoscere al mondo i campi di detenzione voluti da Stalin.
Espulso nel giro di quattro anni. È tornato a casa dopo vent’anni. Nabokov, l’autore di “Lolita” (1955), esiliato negli Stati Uniti , è morto assassinato in Svizzera (1977). Sasha Solokov (1905-1984), altro Nobel paragonato a Tolstoj per soffio epico e serenità di visione – autore del celebre “Il Placido Don” (vita e lotte dei Cosacchi) – figlio di una spia russa operativa in Canada, provò a fuggire dalla Unione sovietica, fu catturato; si salvò grazie al matrimonio con una austriaca.
Questa guerra in Ucraina ci richiama un valore alto: la ricerca della verità. La verità provata, documentata, inequivocabile. La verità raccolta sul posto. Rischiando la vita. È quanto fanno gli “inviati di guerra”. Un mestieraccio.
Ha cominciato (1854) il Times di Londra spedendo William Russell in Crimea. Ha fatto scuola. Da allora i giornalisti impegnati sui fronti bellici si sono moltiplicati. In Ucraina se ne contano a decine. E sei purtroppo sono morti sotto i bombardieri.
Cameraman locali e internazionali. Donne e uomini. Sconosciuti o famosi come Brent Renaud, freelance del prestigioso New York Times, ucciso da colpi di arma da fuoco; o come Pierre Zakrzewski di Fox News, il canale televisivo americano h/24 fondato nel 1996 da Robert Murdoch. Tutti cercavano, con immenso coraggio, di testimoniare l’orrore della guerra.
Praticamente più di un giornalista all’anno. Putin è al potere dal 7 ottobre 1999, ininterrottamente, come ministro o presidente. “Molte di queste morti sono tutt’ora senza un colpevole “ (Mastroianni sul Sole24Ore). Di più: il Comitato per la protezione dei giornalisti (acronimo CPJ) – associazione nata con lo scopo di difendere la libertà di stampa e i diritti dei giornalisti in tutto il mondo – cataloga la Russia come “il terzo Paese al mondo per numero di giornalisti morti dal 1991”. Solo Algeria e Iraq la superano nel periodo 1993-1996. Molte di queste morti russe sono rimaste senza un colpevole. Naturalmente.