di Stefano Casini
Le rimesse in uscita, ossia i soldi che i lavoratori stranieri mandano in Italia per motivi vari, sono spesso considerate alla stregua di “perdite”. In realtà, se confrontate con le rimesse in entrata, esse hanno un ruolo abbastanza modesto nell’economia italiana ma significativo essendo una risorsa fondamentale per i paesi a più basso tasso di sviluppo.
Cosa sono le rimesse?
Con il termine “rimesse” si intende il reddito che il lavoratore residente all’estero risparmia e spedisce nel proprio paese, sempre come forma di sostegno alla famiglia di origine. Come evidenzia l’Unione europea, sono rimesse i soldi inviati sia dai lavoratori permanentemente residenti nel paese ospite sia da quelli presenti temporaneamente come lavoratori stagionali. Dal punto di vista di un paese specifico, esistono due tipi di rimesse: quelle in entrata e quelle in uscita. Quelle in uscita sono le rimesse secondo l’accezione comune, ossia quelle dei lavoratori stranieri che mandano soldi nei loro paesi di origine. Esistono però anche cittadini che lavorano all’estero mandando anch’essi soldi a casa. In questo caso si parla di rimesse in entrata. Trovandosi l’Italia tra i paesi del primo mondo, le rimesse in uscita sono maggiori rispetto a quelle in entrata, anche se questo è parzialmente influenzato dalle modalità di registrazione degli italiani all’estero, che spesso non avvengono tramite l’istituto ufficiale (AIRE) e quindi risulta impossibile calcolare esattamente tutto il danaro che si riceve nel nostro paesi. Da sottolineare che, gli stranieri residenti in Italia provengono generalmente da famiglie più indigenti rispetto agli italiani residenti all’estero.
Le rimesse italiane verso l’estero si sono dinamizzate negli ultimi 10 anni. Dopo un anno con molte rimesse come il 2011, sono calate per alcuni anni, per poi riprendere a crescere dal 2017. Nonostante le previsioni, secondo le quali la pandemia avrebbe causato un forte calo nelle rimesse (stimato dalla Banca mondiale al -8,7%), queste sono aumentate rispetto all’anno 2019, più o meno allo stesso livello del 2010. Dopo un calo di alcuni anni, le rimesse hanno ripreso ad aumentare
I dati si riferiscono esclusivamente ai canali “formali” (gli operatori di money transfer, le banche e le poste) ed escludono quindi quelli “informali” quali il trasferimento in contanti a seguito del viaggiatore, difficilmente quantificabili, come detto sopra. Secondo la Banca d’Italia, altri paesi europei non hanno visto un andamento dinamico come quello italiano a livello di rimesse verso l’estero. Questo fenomeno ci riconduce alla crisi economica italiana, che ha colpito fortemente i redditi degli stranieri. Dall’altra, le ragioni sono anche statistiche: nei tre anni tra il 2010 e il 2012 le rimesse sono state misurate in modo leggermente differente.
L'importanza delle rimesse per i paesi di origine
Le rimesse costituiscono una risorsa importantissima per i paesi beneficiari: sono fondamentali per lo sviluppo delle economie locali e migliorano le condizioni materiali delle famiglie riceventi.
La Banca Mondiale sostiene che, in alcuni paesi a basso tasso di sviluppo. le rimesse arrivano a coprire un terzo di tutti i flussi finanziari in entrata. In paesi come Somalia e Libano, costituiscono più del 30% del PIL. Secondo le Nazioni unite, circa tre quarti delle rimesse sono usate per beni essenziali come il mangiare, le medicine, le spese scolastiche o gli affitti. Dal 1990, secondo la Banca Mondiale, le rimesse a livello globale superano i fondi dedicati agli aiuti allo sviluppo.
Per quanto riguarda le rimesse in uscita dall'Italia, non tutti i paesi di destino sarennero i paesi riceventi, ossia beneficiari dei fondi per l'aiuto allo sviluppo.
Il Bangladesh è il primo paese per rimesse nel 2020
Le prime 10 nazioni destinatarie delle rimesse all’estero dall’Italia, nel 2020. I dati si riferiscono esclusivamente ai canali cosiddetti “formali” (gli operatori money transfer, le banche e le poste). Un'importante limitazione alle rimesse è il costo delle stesse. Per via delle normative in vigore per via della lotta al riciclaggio di denaro e al terrorismo, i lavoratori stranieri devono scegliere canali ufficiali come le banche, le poste o gli operatori money transfer quando inviano denaro. Tutti questi strumenti, anche se consentono la tracciabilità dei flussi, hanno commissioni alte. Secondo la Banca mondiale, la commissione é, globalmente, intorno al 7%, raggiungendo quasi il 10% in alcuni paesi africani, proprio una delle aree del mondo piú povere.
Tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni unite figura anche l’abbassamento della commissione a meno del 3% entro il 2030, eliminando i costi di transazione e i corridoi di rimesse con costi più alti del 5 per cento
In Italia, come nel resto dell'Occidente, su tutte le transazioni verso l'estero (al di fuori della comunità europea) è imposta la commissione ella banca stessa. Il decreto 199/2018 voluto dall'ex ministro dell'interno Matteo Salvini, ha introdotto un'aliquota fissata all'1,5% da applicare solo ai trasferimenti personali verso l'estero, ma non a quelli commerciali. Con la legge di bilancio del 2021 questa disposizione è stata abrogata.
Il panorama europeo delle rimesse in uscita
Secondo i dati della Banca mondiale, diversi da quelli della Banca d'Italia, avendo una nozione più ampia di "rimesse" che include tutti i transferimenti personali, i lavoratori stranieri residenti in Italia avrebbero inviato a casa circa 10 miliardi di euro nel 2020. In entrata, invece, la cifra si attesterebbe intorno ai 9 miliardi. Comunque si tratta di circa lo 0,5% del pil nazionale.
Il Lussemburgo è il paese europeo con il più alto rapporto rimesse/pil
I paesi Ue dove il rapporto tra rimesse in uscita e pil è più alto sono: Lussemburgo (19,4%), Malta (3,5%) e Cipro (3,3%). Nei tre i casi si tratta di nazioni da dimensioni ridotte e con bassi livelli di tassazione.
Nel 2020 l’Italia è quinta nell’Ue per rimesse in uscita e dodicesima a livello mondiale. Se tuttavia consideriamo le rimesse in rapporto al pil, il paese giunge alla diciottesima posizione a livello europeo e alla 55esima nel mondo.
Rapportare le rimesse e il pil ci fa valutare il loro peso rispetto alla ricchezza nazionale. Nel caso dell'Italia si tratta di una cifra modesta soprattutto se consideriamo che le rimesse in entrata (i soldi mandati a casa dagli italiani che lavorano all'estero) rappresentano anch'esse lo 0,5% del pil, "riequilibrando" le somme che ogni anno vengono spedite dai cittadini stranieri nelle rispettive nazioni di origine.
STEFANO CASINI