di Ottorino Gurgo
Sappiamo di attirarci l'accusa di "passatisti", affetti da quella "nostalgia canaglia" che, secondo i più, non è portatrice di nulla di buono. Restiamo tuttavia convinti che, per il sistema dei partiti, valga quello che Winston Churchill disse per il sistema democratico: che è un sistema pessimo, ma che non ne conosceva di migliori. Naturalmente ci riferiamo ai partiti quali erano nel loro momento migliore e non quali sono attualmente poiché, in questa fase della vita politica, non sono che una caricatura, a dire il vero niente affatto divertente, di quello che i partiti sono stati un tempo.
A suggerirci queste riflessioni è il comportamento ondivago, inaffidabile, ambiguo della forza politica che, allo stato, sulla base dei risultati delle elezioni del 2018 (che, con ogni probabilità verranno ribaltati nelle elezioni del prossimo anno), può far conto, a Montecitorio e a Palazzo Madama, sul maggior numero di rappresentanti, vale a dire il movimento Cinquestelle. Mentre i partiti tradizionali venivano travolti dallo “tsunami” di Tangentopoli, circondati da una dilagante impopolarità, si affermava nel paese il movimento (i suoi fondatori insistettero per non definirlo partito) dei penta stellati, caratterizzati da un moto che non lasciava adito a dubbi sul sul significato: “vaffa”.
Il successo conseguito nella competizione elettorale del 2018, portò alla nomina di un presidente del Consiglio (Giuseppe Conte) da loro indicato e sostenuto da una maggioranza di centrodestra che in breve tempo lasciò per aderire a una maggioranza di tutt’altro segno, cioè di centrosinistra, e si ritenne che i partiti tradizionali che avevano concluso nel peggiore dei modi la loro esperienza dovessero cedere il posto a una formazione "anti-partiti". Ma la saggezza popolare insegna che tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.
Così, alla prova dei fatti, gli "anti-partiti" guidati da Conte hanno mostrato tutti i loro limiti fino a essere sostituiti da Mario Draghi alla guida dell’esecutivo, e ora, non soltanto i sondaggi, ma i risultati di tutte le elezioni intermedie, chiaramente dimostrano che l'opinione pubblica non si fida più di loro. S'approssima, dunque, l'era della fine dei cinquestelle e con essa quella di un populismo carico di demagogia che non ha portato al paese nulla di buono.
Occorre, pertanto, ricostruire il tessuto connettivo del paese creando le condizioni per ricostruire quei partiti che, demonizzati e svuotati, dimostrano, piaccia o non piaccia, di essere strumento indispensabile per un corretto svolgimento della vita pubblica. Sia chiaro: strumento e non fine, come invece, finirono con l'essere degenerando. L'impresa non è certo delle più semplici e presuppone che la politica riscopra quell'appeal che da troppo tempo ha perduto. Ma è questo il compito degli "aspiranti leader" che nel nostro paese non mancano.