Gente d'Italia

La pace è una scelta politica

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di Vanna Iori

La brutalità e la disumanità delle immagini dell'aggressione russa in Ucraina sono, nella loro inaudita ferocia, sconvolgenti per tutti. Una violenza di cui si fa fatica a parlare, anzi che è anche difficile pensare stia davvero accadendo, senza limite, contro donne, bambini e anziani. E ancor più restiamo allibiti davanti agli attacchi lanciati contro i luoghi in cui ci si prende cura dell'umanità: scuole, ospedali, pediatrie, maternità, Chiese, in una ripetizione senza senso dell'orrore quotidiano.

Un terribile paradosso della disumanità, che non si ferma davanti a niente e nessuno, nemmeno a ciò che rappresenta civiltà e aiuto per i più fragili. Questa brutalità contro gli inermi ha caratteri inumani e, purtroppo, è la terrificante caratteristica di ogni guerra, quella che non riusciamo a spiegare con le categorie dell'umano, perché riteniamo che si tratti di crimini di cui gli uomini dovrebbero essere incapaci. Cancellare l'umanità con l'aggravante del dolore cercato, dell'offesa del corpo, dello strazio dell'età. Facciamo fatica persino a trovare le parole adatte, anche se ne parliamo e ne scriviamo assiduamente ogni giorno, come se le parole potessero spiegarci ciò che non riusciamo a comprendere.

Dal 24 febbraio il mondo ha cambiato il suo verso e per molti di noi, che da generazioni hanno espulso la guerra dall'orizzonte, il trauma è ancora più violento. Assistiamo a scene che credevamo di aver consegnato all'archivio della storia. Ci attendono molte difficoltà. Non siamo pronti al cambiamento di scenario e neppure alla presa d'atto di quanto orrore e disumanità possa albergare nella natura umana. Un’ombra nera che annichilisce il pensiero. Come sempre, lo sappiamo dalla storia, queste emozioni negative si traducono anche in sintomi fisici e psichici: dai tremori alle paralisi, dagli incubi, alla follia talvolta permanente nei soldati che vennero ricoverati in manicomio.

Dobbiamo perciò fare un grande sforzo per capire come uscire da questo orrore, restituendo vita, dignità e libertà a un popolo intero e provare a impedire che l'ordine mondiale prenda un segno diverso da quello al quale abbiamo contribuito e lavorato per anni. Ma per farlo dobbiamo riflettere se esistano antidoti a questa brutale violenza e come utilizzarli. Esistono strumenti legati al benessere, allo sviluppo, al rispetto delle persone e della loro dignità che possano diminuire la rabbia prima che sfoci in ferocia? O dobbiamo rassegnarci all'idea che la disumanità sia una caratteristica insita nell'essere umano e che a fasi alterne torni a diventare protagonista dello scenario globale?
Come ha ricordato recentemente il presidente Mattarella ciò che è in gioco è il destino dell'intera Europa "che si trova a un bivio tra regressione della sua storia e capacità di sopravvivere ai mali del proprio passato". Come possiamo sopravvivere? Io credo che gli antidoti si chiamino innanzitutto democrazia, con la sua lotta alle disuguaglianze. La guerra tiene in ostaggio la democrazia. E la democrazia ne porta molti altri con sé: diritti, istruzione, cultura, inclusione, benessere, solidarietà umana. Costruire la pace è un impegno che richiama valori profondi a partire dalla dignità.
La pace è un impegno a includere, rendendo la società dove si vive la migliore possibile a dare risposte ai bisogni e in grado di rispondere alla complessità. Ridando forza ai nostri modelli e aiutando i Paesi che fanno più fatica a difendere la popolazione dalle invasioni che distruggono non solo le condizioni economiche, ma la dignità della vita stessa. La pace si costruisce intorno ai valori fondamentali di giustizia, della solidarietà e dell'uguaglianza, nel progetto di difesa e di emancipazione dei ceti sociali più deboli. Ma si costruisce anche intorno alla possibilità che le opinioni pubbliche siano capaci di condizionare e indirizzare le scelte dei governi.

L'indissolubile legame tra pace e democrazia va oltre gli slanci etici e il rifiuto della barbarie: serve un investimento sull'uomo per sottrarlo all'humus dove la barbarie può più facilmente proliferare senza che vi sia alcuna opposizione. In questo senso, il richiamo alla pace da mera invocazione deve diventare una precisa scelta politica. E questo dipende anche da noi.

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