di James Hansen
In Europa è facile dimenticare che la Russia e gli Stati Uniti sono geograficamente vicini. I loro confini infatti si toccano nello Stretto di Bering, tra l’Alaska—il 50° Stato degli Usa—e la Siberia, dove la distanza tra i paesi è quella che separa le due misere e disabitate isolette di Piccola Diomede (americana) e Grande Diomede (russa). L’una dista dall’altra meno di quattro chilometri: in mezzo scorre la linea di confine tra i due Paesi e tra i due continenti.
L’Alaska una volta fu infatti un possedimento russo, ma lo Zar Alessandro II—alla disperata ricerca di soldi—la cedette agli americani nel 1867 in cambio di 7,2 milioni di dollari, una somma che varrebbe oggi poco meno di $140 mln. Siccome il territorio acquistato si estende per oltre un milione e mezzo di chilometri quadrati—due volte e mezzo l’Ucraina—fu dal punto di vista immobiliare un affare spettacolare. All’epoca l’opinione pubblica americana però vide l’operazione come un colossale spreco di soldi, la “follia di Seward” (l’allora Segretario di Stato Usa era appunto William Seward): soldi seri in cambio di ciò che il New York Tribune definì “un mondo selvaggio e gelato”.
In seguito quel territorio desolato e praticamente disabitato è risultato essere ricco di oro e di petrolio. Lì per lì però l’acquisto americano fu determinato da motivi più strategici che economici. Gli Usa erano appena usciti dalla loro Guerra Civile—una guerra in cui l’Impero britannico aveva palesemente appoggiato i ribelli del Sud mentre l’Impero russo aveva favorito i nordisti vincenti. Dare dei soldi allo Zar scannato in cambio di qualcosa che non gli serviva poteva sembrare una buona idea per rinsaldare ulteriormente i rapporti e non restare troppo isolati sulla scacchiera diplomatica mondiale...
Certo, da allora i russi—non più zaristi—si sono periodicamente lamentati dell’evidente “imperialismo” con cui gli americani gli hanno soffiato l’Alaska per pochi, sporchi dollari. Infatti, forse prevedibilmente, negli ultimi tempi la questione è nuovamente saltata fuori in coda ai fatti dell’Ucraina.
A metà marzo un importante deputato della Duma—Oleg Matveychev, che parla spesso a nome di Putin e del suo Governo—è andato sulla televisione di Stato russa a dichiarare che, a seguito dell’ “inevitabile” vittoria in Ucraina, gli Stati Uniti dovranno restituire l’Alaska alla Russia come riparazione delle sanzioni imposte al suo paese per “l’operazione speciale di denazificazione” in corso. Già che c’era, Matveychev ha reclamato anche la “restituzione” dell’intero continente dell’Antartide. “L’abbiamo scoperta noi, e quindi è nostra”, ha spiegato.
Cosa pensasse di ottenere con il suo intervento non è chiaro. Oltre al valore—o meno—come propaganda interna, forse l’intento era in qualche modo quello di tentare di far prendere sul serio il suo paese dagli Usa. Gli americani, i vincitori “l’altra volta”, non riescono a dimenticare che il PIL russo, prima ancora del pesante danno economico causato dalle attuali sanzioni, era già inferiore a quello del Texas: uno Stato grande e ricco, ma solo uno tra cinquanta. Per dire, gli Usa non pensano che la Russia di oggi possa permettersi più di tanta guerra; non sentono più il fiato russo sul collo...