"Il voto personale, eguale, libero e segreto come lo definisce la costituzione è alla base della qualità e rappresentatività della nostra democrazia" ha ricordato il ministro degli Esteri, Luigi di Maio, nel corso dell'audizione alla Giunta elezioni della Camera sul voto degli italiani all'estero.
Sono trascorsi oltre vent'anni dall'entrata in vigore dell'attuale normativa, la legge 459/2001, nel corso dei quali sono state organizzate quattro elezioni politiche e otto consultazioni referendarie; e in vent'anni il numero dei cittadini italini all'estero è quasi raddoppiato, passando da 3,4 milioni a 6,6 milioni.
Una crescita che "non ha rallentato neanche durante la pandemia, nonostante i numerosi rimpatri, e spinta dalla cosiddetta nuova mobilità, ovvero le nuove generazioni che si recano all'estero alla ricerca di opportunità di studio e lavoro, ma anche in virtù dell'estrema generosità della legge di cittadinanza del 1992 che non prevede limiti di discendenza alla trasmissione iure sanguinis", ha proseguito Di Maio.
Il Ministro ha poi fornito qualche dato: il corpo elettorale all'estero è passato dai 2,3 milioni del 2003 ai 5 milioni previsti per il referendum del 2022; in occasione del referendum costituzionale del 2020 sono pervenute schede da 196 Paesi del mondo, compresa l'Antartide.
Il sistema attuale si basa sul voto per corrispondenza, che prevede una serie di stringenti passaggi organizzativi regolati dalla legge nell'arco dei due mesi che precedono le elezioni, e che presenta non poche criticità, come ha osservato Di Maio.
In primo luogo, "l'aumento continuo dei residenti all'estero mete alla prova la capacità degli uffici consolari di gestire una macchina organizzativa sempre più impegnativa a risorse umane costanti se non decrescenti, e comunque sproporzionate al carico di lavoro", a scapito degli altri compiti dell'ufficio.
Per fare un esempio, la comunità italiana di Stoccarda è paragonabile alla città di Parma, con circa 190mila persone: ma al consolato prestano servizio solo 30 persone, fra cui un solo diplomatico.
In secondo luogo, "occorre valutare l'impatto dell'aumento costante sul costo dell'organizzazione del voto postale, ancora più elevato in rapporto ai votanti effettivi": ad esempio, il costo della stampa e dell'invio e restituzione postale dei moduli con modalità preaffrancate.
A titolo di esempio, per la Farnesina vengono stanziati circa 24,5 milioni all'anno con eventuali integrazioni, un terzo assorbito dalla sola Argentina; la stima per il prossimo referendum, complice anche l'aumento delle materie prime dovuto al conflitto ucraino, è di 31,4 mln di euro.
Per questo motivo, ha aggiunto Di Maio, va valutata l'opzione del voto inverso al fine di migliorare i servizi per chi effettivamente intende esercitare il diritto di voto: "La democrazia non ha prezzo, ma le modalità del voto all'estero comporta delle inefficienze endogene che possono essere sfruttate da soggetti intenzionati a compromettere l'espressione del voto gettando ombra sull'operato dei servizi consolari".
In terzo luogo, a norma di legge le oltre 200 rappresentanze diplomatico consolari devono spedire i plichi elettorali con il "sistema postale più affidabile e ove possibile con posta raccomandata", sistemi che nella pratica sono molto diversi e con gradi di affidabilità differenti a seconda dei Paesi, e in grado di influenzare quindi la partecipazione e, a seconda della possibilità o meno della consegna ad personam, la segretezza del voto. In quarto luogo, ha proseguito il Ministro, esiste il problema della tutela dei principi costituzionali di segretezza e personalità: il voto è in remoto, lontano dal controllo delle autorità, e non ci sono garanzie assolute sul fatto che il destinatario del plico sia effettivamente il votante; non è possibile escludere l'intervento di intermediari.
Ma anche in presenza di servizi postali affidabili, molti plichi vengono restituiti per mancata consegna al destinatario presso l'indirizzo registrato dagli uffici: errore che spesso viene attribuito ai consolati quando il dovere di comunicare il cambio dell'indirizzo è dei connazionali.
Infine la bassa affluenza, da attribuirsi alla composizione stessa delle nostre collettività iscritte all'Aire: immigrati di seconda e terza generazione, nati, vissuti e integrati totalmente all'estero.
"Tutto questo evidenzia possibilità – alla quale sono favorevole – di una riforma della legge di voto all'estero", ha sottolineato Di Maio, illustrando alcune ipotesi fin qui proposte "che tuttavia a un più attento vaglio non appaiono risolutive".
Ad esempio, per ovviare alla mancata certezza della segretezza e personalità del voto è stato proposto l'allestimento dei seggi all'estero, ipotesi "non percorribile per l'entità della comunità all'estero, per il carico di lavoro e le necessità di spostamento" degli elettori, non essendo possibile una disseminazione dei seggi analoga a quella sul territorio nazionale.
Il rischio è quindi di istituire un discrimine a seconda del luogo di residenza dell'elettore, senza contare l'insostenibilità dei costi di affitto dei locali e della sicurezza, e la necessità di reclutare il persnale di seggio.
"Una soluzione perfetta non esiste, ma occorre lavorare alla digitalizzazione dei servizi", ha auspicato Di Maio, proponendo la valutazione dell'opzione inversa, già adottata da Francia, Gran Bretagna, Svizzera e Austria e già applicata alle elezioni dei Comites: nel quadro del mantenimento del voto per corrispondenza la volontà di votare dovrebbe essere manifestata tramite comunicazione digitale.
Occorre inoltre "considerare il più possibile le possibilità che ci offe la tecnologia, come la tracciabilità del voto e la velocizzazione dello scrutinio, tramite ad esempio l'identificazione dell'elettore attraverso un QR code, ipotesi la cui fattibiltà rimane da verificare".
"Occorre avere il coraggio di perseguire soluzioni e riforme adeguate e al passo con i tempi: il Ministero degli Esteri è pronto a lavorare insieme al Parlamento in questo senso", ha concluso il Ministro.