di Gabriele Carrer
"Prima del 24 febbraio la Finlandia stava costruendo una centrale nucleare da 8 miliardi di dollari con i russi. Ora è probabile che aderisca alla Nato. Bel lavoro di [Vladimir] Putin". Con questo tweet sarcastico Gerald Butts, ex braccio destro del primo ministro canadese Justin Trudeau e oggi vicepresidente della società di consulenza Eurasia Group fondata da Ian Bremmer, ha riassunto la situazione politica della Finlandia, Paese che condivide un confine di 1.300 chilometri con la Russia e la cui politica la prossima settimana deciderà sulla presentazione della domanda di adesione alla Nato mettendo fine a decenni di neutralità armata. Appuntamento il 12 maggio: prima toccherà al presidente Sauli Niinistö annunciare il suo sì che appare scontato visto il suo intenso lavoro diplomatico con anche un viaggio Washington per incontrare l'omologo statunitense Joe Biden e William Burns, il capo della Cia; poi spetterà ai gruppi parlamentari dare la loro approvazione alla domanda tramite i leader. Dopo la Finlandia, toccherà quasi certamente alla Svezia.
Lunedì il consorzio finlandese Fennovoima ha annunciato, dopo mesi di incertezza e tensioni politiche, di aver annullato il contratto con la società russa Rosatom per la costruzione di una centrale nucleare nel Golfo di Botnia, la terza nel Paese. La costruzione di Hanhikivi 1, di cui Rosatom detiene una partecipazione del 34%, è stato ripetutamente rinviato: la costruzione era prevista nel 2023 con data di completamento nel 2029. Ma era già nato in mezzo tra molte difficoltà legate alle mire della Russia: infatti, il governo finlandese aveva detto sì al coinvolgimento di Rosatom nel progetto nel 2014, senza guardare i sondaggi che indicavano una crescente insofferenza di cittadini davanti all'annessione della Crimea da parte della Russia all'inizio di quell'anno.
Fennovoima ha comunicato di aver messo fine al contratto a causa dei "significativi ritardi e dell'incapacità di concludere il progetto" da parte di RAOS Project, la filiale finlandese di Rosatom. "La guerra in Ucraina ha aggravato i rischi per il progetto. RAOS non è stata in grado di mitigare nessuno dei rischi", ha aggiunto, senza entrare in ulteriori dettagli. Il riconoscimento da parte della Russia delle Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk il 21 febbraio ha indotto la Finlandia a riconsiderare la situazione. La guerra ha messo la parole fine. Dopo l'invasione russa dell'Ucraina inizia il 24 febbraio Mika Lintila, ministro degli Affari economici, ha ribadito a più riprese che sarebbe stato "assolutamente impossibile" per il governo procedere con la società russa su un'infrastruttura così importante.
Rosatom ha detto di essere "estremamente delusa" dalla decisione, presa senza alcuna consultazione con gli azionisti, ha spiegato ancora. "Il progetto è andato avanti e abbiamo stabilito un buon rapporto di lavoro con il nostro cliente", si legge nella dichiarazione. La società si è riservata il diritto di difendere i suoi interessi "in conformità con i contratti e le leggi applicabili".
Anche guardando ai sondaggi che raccontano un radicalmente cambiamento nell'elettorato finlandese che ora spinge per l'ingresso nella Nato, delle conseguenze dello stop al contratto con Rosatom il governo di Helsinki sembra non interessarsi né spaventarsi. Lo stesso vale per l'annuncio della Russia che ha minacciato di schierare armi nucleari e missili ipersonici nella sua enclave di Kaliningrad se la Finlandia o la Svezia decidessero di aderire alla Nato. Il Governo finlandese appare pronto ad affrontare anche situazioni delicate: in un recente rapporto al Parlamento, il ministero degli Esteri ha spiegato che "se la Finlandia chiedesse l'adesione alla Nato, dovrebbe essere pronta a intensi sforzi per esercitare influenza e rischi che sono difficili da prevedere, come l'aumento delle tensioni al confine tra Finlandia e Russia". Ed è per questo che la Finlandia, al pari della Svezia, sta chiedendo alla Nato di rendere operativo l'articolo 5 del Patto atlantico, quello sulla difesa collettiva, sin dal momento della presentazione della domanda, al fine di "coprire" i mesi che passeranno tra questa e l'effettivo ingresso nella Nato.
Tutto ciò è la conferma che le pratiche coercitive di Mosca non stanno più dando gli effetti avuti in passato e auspicati ancora oggi dal Cremlino: la guerra è stata uno spartiacque anche in questo senso, con l'amministrazione Biden che sta tracciando linee rosse nello scontro tra modelli, tra democrazie e autocrazie. Per rendersene conto è sufficiente dare un'occhiata alla compattezza con cui si stanno muovendo l'Occidente e al suo interno l'Unione europea, nonostante le differenze e le divergenze.
Il Cremlino non l'aveva considerato. Molti analisti definiscono gli sviluppi nel Nord Europa come uno dei principali errori di calcolo compiuti dalla Russia sulla guerra in Ucraina. L'ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato "rafforzerebbe la deterrenza della Nato (e, se la deterrenza fallisse, la sua difesa collettiva) nelle regioni artiche, nordiche e baltiche", ha scritto l'Atlantic Council, uno dei principali centri studi degli Stati Uniti. "Oltre a partecipare agli scambi di informazioni, alle reti di comando e controllo e alla pianificazione operativa che sono elementi critici in una risposta day zero a qualsiasi minaccia di aggressione, metterebbero a disposizione del processo decisionale della Nato anche la loro esperienza regionale sulla Russia", aggiunge il rapporto evidenziando ancor di più gli errori del Cremlino. C'è però un'osservazione non banale con cui il rapporto si chiude guardando alle politiche di Putin: per il suo dominio, "ha più paura di un vicino che si democratizza piuttosto che della sua appartenenza a un'alleanza militare".