di Giorgio Merlo
Ci risiamo, quasi come da copione. Del resto, quando un partito nasce, si fonda e raccoglie il consenso sulle onde del populismo più sfrenato - l’ormai celebre “Vaffa Day” - è praticamente impossibile derogare da quella regola se si vuole continuare a raccogliere voti e sostegno elettorale. Anche perchè il partito è sempre quello, i capi sono sempre quelli e i dirigenti locali e nazionali pure. E, di conseguenza, gli elettori. Anche se di meno rispetto al passato. Non a caso, quando si discostano da quella regola e da quei dogmi populisti, i consensi calano drasticamente e lo stesso progetto politico si appanna.
Ora, con l’arrivo di Conte alla guida di quel partito, è ritornata in forma smagliante la nuova versione del progetto populista. Con un linguaggio meno triviale, almeno per il momento, ma comunque sia ispirato ai criteri di fondo che caratterizzano una forza politica populista. Del resto, sin dall’inizio della loro esperienza, il populismo è sempre stato la cifra distintiva ed originale di questa formazione politica. Ora, è pur vero che il medesimo partito è quello che ha praticato e declinato concretamente la più visibile e netta prassi trasformistica nel nostro Paese dal secondo dopoguerra in poi. Un comportamento politico che tutti abbiamo potuto conoscere e sperimentare in questi anni di governo del paese.
Detto in termini più semplici, si è sistematicamente rinnegato tutto ciò che hanno urlato e giurato in tutte le piazze italiane per svariati anni. È persin inutile ricordare questi passaggi talmente sono noti e conosciuti. Adesso, però, abbiamo una nuova gestione di quel partito. Una gestione che sino a oggi pochi hanno potuto sperimentare concretamente. Sotto il profilo politico, come ovvio. Certo, si tratta di una leadership politica che cambia opinione così rapidamente che diventa anche imbarazzante tentare di comprendere quale sia il reale progetto politico che persegue. Per non parlare della cultura politica che la ispira. Ovvero, della non cultura politica perchè quel partito resta sostanzialmente senza una cultura politica di riferimento. Il che lo giustifica di fronte ai suoi elettori a dire che sono un partito né di centro, né di sinistra e tantomeno di destra.
Insomma, nessuno sa cosa sia realmente. Ma c’è un elemento che continua a rappresentare una sorta di bussola di riferimento. E la bussola, almeno così ci pare di capire, è la necessità di rideclinare e rifondare una rinnovata politica di matrice populista. È appena sufficiente verificare il comportamento concreto del nuovo capo dei 5 stelle per rendersi conto che in mancanza di un progetto politico definito, di una cultura politica di riferimento e di una classe dirigente radicata nel territorio, l’unico cemento unificante di tutta quella comunità resta il populismo. Ovvero la radice originaria di quel partito.
Dopodiché, resta sempre più curioso capire quali siano le ragioni politiche, culturali e programmatiche che portano un partito storicamente di potere e governista come il Partito democratico a individuare nei 5 stelle un alleato strategico se non addirittura storico per dare una prospettiva riformista e democratica all’intero paese. E questo al di là delle battute sulla ennesima modifica del sistema elettorale perché, come quasi tutti sanno, la legge elettorale per svariate motivazioni resterà quella attuale. Probabilmente questo irrigidimento affonda le sue radici nella solita e ormai anche un po’ noiosa motivazione dell’unità antifascista e del rischio della vittoria delle forze “sovversive e illiberali”….. È questo, credo, l’unico motivo che possa spiegare l’alleanza con un partito che resta dichiaratamente ed esplicitamente populista. Al di fuori delle dichiarazioni ufficiali.
Ecco perché non è poi così difficile decifrare il cosiddetto “nuovo corso” del partito di Grillo e di Conte. Si tratta, tutto sommato, di una reinvenzione e riproposizione della prassi populista seppur con un linguaggio leggermente diverso rispetto al passato. Ma quello che è importante evidenziare è che non cambia il modello e il profilo che caratterizza il partito. L’abbandono, almeno per ora, del triviale e violento linguaggio del passato è solo una variabile indipendente ai fini del messaggio politico. Insomma, i 5 stelle restano sempre quelli. Anche e soprattutto con Conte a capo. Del resto, la classe dirigente a livello nazionale come a livello locale non è cambiata. È difficile che ci sia, al riguardo, una conversione improvvisa, collettiva e condivisa di tutti quelli che si riconoscono nel partito. Quella appartiene al mondo della propaganda, dei social e delle favole. Ma non della politica e, soprattutto, della serietà e della coerenza della politica stessa.